Napoli è immancabilmente un luogo di struggimento, memoria, e incredibile fatica. L’albero di mandarini di Maria Rosaria Selo (Rizzoli, pp. 346, euro 18) ne dà ulteriore prova, con un racconto di donne attraverso le generazioni lungo un tempo di settant’anni, che ha a che fare con la battaglia senza sosta per stare al mondo a testa alta e che vi ha a che fare proprio e soprattutto perché il teatro della battaglia è Napoli. Insieme a una città che, secondo quanto si narra (anche qui), le somiglierebbe molto: Rio de Janeiro. E infatti – siamo nel 1946 – la voce narrante attribuisce a Napoli una qualità che va ben oltre il tempo dell’immediato dopoguerra e che sappiamo appartenerle nei secoli: «La città aveva seppellito i morti, tacitato le coscienze e finto che tutto fosse a posto».

Maria è la protagonista di queste pagine di storia familiare, ragazza di famiglia umile che nasce e cresce nei pressi della chiesa di Piedigrotta, a pochi passi da Mergellina, in una zona ancora piena di verde, tanto che ha la fortuna di farsi custodire dalle foglie e le zagare di un albero di mandarino. La sua è la storia della fatica di un riscatto economico e sociale. Che passa prima per il duro lavoro di sarta, poi per l’illusione di sposare un uomo della Napoli bene, Tonino Balestrieri, frattanto trasferitosi con la sua famiglia in Brasile. Ma la vita brasiliana si rivela un incubo di stenti e infelicità, e la nostalgia di Napoli divora i giovani sposi. La spietata antagonista è, naturalmente, la suocera Severina, elegante, dura, sprezzante. Maria e Tonino ritorneranno a Napoli, costruiranno una famiglia, riusciranno a crescere due figlie femmine, in una casa panoramica di nuova costruzione al Parco Comola Ricci. E Severina, anziana, farà ritorno a Napoli, e ancora invaderà le loro vite. Nella cornice iniziale del terremoto del 1980. Soltanto alla fine Maria e Severina riusciranno a parlarsi, senza capirsi, ma dicendosi il senso delle loro storie, e rivendicandone la dignità femminile comune.

L’albero di mandarini, col suo andamento classico, la cronologia lineare, i personaggi intrisi di un Meridione caldo e malinconico, è in fondo il racconto delle diverse possibilità che abbiamo nell’affrontare le battaglie sempre uguali della vita. Ma queste possibilità, proprio perché diverse, sono importanti, e testimoniano una base di fratellanza e sorellanza anche al di là delle perfidie e delle violenze che perpetriamo ogni giorno l’uno contro l’altro. Come infatti la figlia minore, Rosaria, chiederà a sua madre a proposito dell’incomprensione tra lei e la suocera, la domanda fondamentale è: «Seriamente, intendo, vi siete mai ascoltate? O avete solo e sempre discusso in malo modo?».
Infine è la vita, anche quando il tempo viene a sradicare crudelmente l’albero di mandarini, ad avere una sua densità immedicabile se non nel racconto di una storia, come l’autrice, con l’accento semplice e commosso di tutto il romanzo, ribadisce anche nel suo ringraziamento finale alla madre: dopo tutto «Maria aveva imparato che nella vita le cose importanti erano due o tre al massimo. L’amore, la dignità e l’onestà. Il resto era una perdita di tempo e di energie».