Che cosa sta succedendo in Puglia? Una decina di arresti, un assessore regionale dimissionario, un vero terremoto politico, in questi giorni. L’alleanza del “campo largo” delle sinistre che traballa. Il centrodestra, anche la parte storicamente più garantista, che assume le vesti del giustizialismo. Al centro, episodi di “voto di scambio” in diverse tornate elettorali, le ultime regionali del 2020 che videro la conferma alla presidenza della regione Michele Emiliano, e due elezioni di piccoli Comuni, Grumo Appula e poi Triggiano nel 2021. Se a questo quadro si aggiungono i 130 arresti dello scorso mese di febbraio e la conseguente iniziativa del ministro Piatendosi con la richiesta di verificare eventuali contiguità dell’amministrazione della città di Bari con la criminalità organizzata, c’è da porsi più di una domanda.

È forse diventata la Puglia il centro del malaffare, magari anche mafioso? Oppure, vista la concomitanza delle inchieste della magistratura con due prossime tornate elettorali, le elezioni europee e quella per il rinnovo del consiglio comunale del capoluogo, siamo all’ennesimo intervento a orologeria di qualche toga politicizzata? Non sono domande inutili, la storia politico-giudiziaria degli ultimi trent’anni ci ha allenati quanto meno a coltivare il dubbio. A sentire il sindaco di Bari Antonio Decaro e il suo sponsor Michele Emiliano, le loro amministrazioni meriterebbero di stare sulla parte più alta del podio alle olimpiadi. L’iniziativa del ministro dell’interno li ha offesi e indignati, hanno parlato addirittura di un “atto di guerra”. Dall’altra parte, i loro avversari politici dei partiti di centrodestra dicono che loro da tempo denunciavano gravi infiltrazioni di malavita nei governi locali. Ma lo facevano in sede politica, prima. Ora le inchieste della magistratura e gli arresti hanno fatto esplodere un conflitto che purtroppo, come è sempre successo anche se a parti invertite, non riesce a uscire da un certo schema. Quello per cui alla fine la politica delega ai pubblici ministeri e ai giudici la scelta su chi è legittimato a governare e chi no. Lo abbiamo visto anche in Parlamento con le richieste di dimissioni di questo o quel ministro.

Vediamo allora, sulla base dell’inchiesta di questi giorni, di che cosa si tratta. La sostanza consiste nell’accusa di “voto di scambio”. Avvenuto attraverso il pagamento di cinquanta euro per ogni croce messa al posto giusto. Capofila di questo trucco uno degli arrestati, posto ai domiciliari, Sandro Cataldo, esponente del Movimento civico sud. Il sistema di controllo, per chi ricorda come era la politica della prima repubblica, quella delle preferenze che incredibilmente tanti oggi mostrano di rimpiangere, era molto banale. Bastava scrivere Rossi Mario invece che Mario Rossi, oppure usare lo stampatello invece del corsivo, e il voto era controllato. E poi affidarsi agli scrutatori e ai rappresentanti di partito al seggio, al momento dello scrutinio. Un gioco facile. Ma se non c’è la prova del passaggio di denaro o di “altre utilità”, il voto di scambio appare per quello che è, uno dei reati più scivolosi del nostro codice. Grave più sul piano morale che su quello strettamente giudiziario.

Anche perché quando si entra nella cabina elettorale si scambia sempre qualcosa: un atto di fiducia con la speranza di un cambiamento. Ci è capitato di leggere, per esperienza personale, che qualcuno avesse scambiato i voti con la “promessa di riforme”, e che questo sia stato considerato reato. In ogni caso, anche in questa inchiesta, quello che appare chiaro è che gli indagati fossero ben strutturati nella ricerca del consenso, proprio come si faceva una volta, con i contatti porta a porta con i cittadini-elettori. Ma non dimostra molto di più il fatto che, dopo le elezioni del 2020, siano stati trovati in un bidone di immondizia una serie di fotocopie di carte di identità e tessere elettorali. Certo, non manca il “pentito”, come in ogni indagine che si rispetti. Un classico è il fatto che questo ruolo sia personificato da un ex collaboratore di Cataldo, Armando Defrancesco, insoddisfatto del proprio risultato elettorale, che si è confidato con un agente della guardia di finanza. Ma poi ha ritrattato, beccandosi un’accusa di calunnia. Ecco perché, in un quadro così insoddisfacente da aver determinato, tre le richieste del pm e l’ordinanza del gip un lasso di tempo pari a otto mesi, l’inchiesta ha necessitato di esser inserita nello schema classico. Quello che ha imbarbarito la giustizia da Mani Pulite in avanti e per trent’anni. Parliamo prima di tutto dell’uso del reato associativo che consente arresti e intercettazioni. Poi la conquista delle prime pagine dei quotidiani e di un certo numero di talk che ne parlano. Infine solidarietà alla magistratura della parte politica opposta a quella colpita dall’inchiesta. Lo aveva ben capito l’attuale procuratore di Napoli Nicola Gratteri il quale, quando era ancora a Catanzaro, si lamentava quando i suoi blitz non conquistavano le prime pagine e faceva appelli agli editori. Se a questi elementi aggiungiamo anche il fatto che il colpo a questo o quel partito piomba spesso come un falco in mezzo alle campagne elettorali, ci sarà consentito continuare a coltivare il dubbio. Sarà giustizia o sarà politica?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.