Varrebbe la pena di ricordare un paio di cosette quando i giornali e le diplomazie di mezzo mondo imputano a Itamar Ben-Gvir (il famigerato suprematista israeliano) di aver spinto il Medio Oriente verso il bordo del precipizio perché ha portato qualche centinaio di religiosi sul Monte del Tempio. Era, ancora ieri, la notizia di gran lunga più enfatizzata: in pratica, il più grave attentato lungo un percorso di pace in nessun modo accidentato da trascurabili minuzie come i grappoli di razzi dal Libano e dalla Striscia o come l’assassinio dell’ennesimo ostaggio. Ma in questo quadro pazzotico – in cui la passeggiata, lassù, di quel fondamentalista e del suo gruppo è equiparata a una specie di incursione terroristica – è il caso, appunto, di ricordare un paio di dettagli inopinatamente sfuggiti all’indignata osservazione comune.

Il primo: che la “provocazione” di cui si è indiscutibilmente resa responsabile quella gente non si è consumata in un luogo qualsiasi, ma nel luogo più sacro per gli ebrei. Il luogo in cui agli ebrei è fatto divieto di pregare. Si può rispondere che così è stabilito, che così stanno le cose, che così esigono i delicatissimi equilibri in quella confusione geografica, politica e monumentale. D’accordo. E si può aggiungere che interferire in quegli equilibri può scatenare reazioni destabilizzanti. D’accordissimo. Ma è chiaro che agli ebrei è impedito di pregare nel loro luogo più sacro? Vogliamo dire che si tratta di una discriminazione necessaria a composizione di controversie altrimenti ingestibili? Va bene. Vogliamo dire che è opportuna per ragioni di ordine pubblico altrimenti ingovernabili? Va benissimo. Ma è chiaro che è, e resta, una discriminazione odiosa?

E ora il secondo “dettaglio”, implicato nel primo e – come il primo – oltraggiosamente accantonato: è chiaro che si trattava di gente che voleva pregare? Respinti, come di dovere, dal personale di polizia e militare addetto a mantenere “Judenfrei” il luogo più sacro per gli ebrei, quei provocatori questo, e non altro, rivendicavano di poter fare: pregare. Ricomposto in questo modo, il quadro è restituito a una realtà un po’ meno angosciosa ed esplosiva rispetto a quella rappresentata da chi discuteva della “provocazione” con toni buoni per una colonna di tank che apre il fuoco su una folla di civili.

Il fatto, poi, che quell’oltranzista di Itamar Ben-Gvir (lui e la teppa che lo attornia) assai proficuamente per tutti dovrebbe levarsi di torno e limitarsi a tenere il grugno sulla Bibbia, ebbene è un altro discorso. Così come è un altro discorso quello rappresentato dalla colpa gravissima di un avventuriero, Netanyahu, che per stare in sella ha accreditato quel forsennato e i suoi manipoli. Ma tutto questo c’entra davvero poco con l’ipocrita chiassata che evoca l’escalation perché un po’ di ebrei chiedono di poter pregare in quel posto.