Il dialogo tra Israele e Hamas prosegue con la mediazione di Egitto, Qatar e Stati Uniti. Un percorso in salita, a ostacoli, con entrambe le parti in guerra che tentennano da molto tempo e che appaiono spaccate al loro interno. Ma Hamas sembra intenzionata a cedere di fronte a una pressione militare israeliana che continua a essere forte e incisiva. Mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu appare più propenso a trattare, e ha confermato all’inviato per il Medio Oriente della Casa Bianca, Brett McGurk, di essere “impegnato a raggiungere un accordo” sul cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi a condizione che siano mantenute le “linee rosse di Israele”. Il negoziato c’è, anche se complesso.

E lo confermano anche gli ultimi vertici in Medio Oriente. Ieri, la delegazione israeliana composta dal capo del Mossad David Barnea, dal direttore dello Shin Bet Ronen Bar, e dal generale Nitzan Alon, sono partiti per Doha per incontrare il capo della Cia, William Burns, il primo ministro del Qatar, Mohammed Al Thani, e il capo dei servizi egiziani, Abbas Kamel. E l’obiettivo di tutte le parti – in particolare degli Stati Uniti di Joe Biden – è arrivare il prima possibile a un’intesa. Per il presidente Usa, una tregua e il rilascio degli ostaggi sarebbero una prima boccata d’ossigeno dopo mesi di affannose ricerche di pace in Ucraina e nella Striscia di Gaza. Ma al netto dell’impegno di Washington, la luce dei riflettori è spostata tutta su Israele e Hamas, e in particolare sulle decisioni di Netanyahu e del leader della milizia palestinese a Gaza, Yahya Sinwar.

Il primo ministro israeliano è pressato da un’opinione pubblica sempre più frustrata dalla mancata liberazione degli ostaggi rapiti il 7 ottobre e che dopo nove mesi di guerra chiede a gran voce una soluzione. Gli alleati di governo di Bibi, in particolare i ministri di ultradestra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, sono arroccati su posizioni nettamente oltranziste, che preoccupano in particolare Washington. Ma l’impressione di queste ultime settimane è che tanto Netanyahu quanto gli apparati di intelligence e militari siano d’accordo sulla necessità di un patto che ponga fine al sequestro delle persone prese in ostaggio da Hamas quel terribile giorno di ottobre. E l’operazione militare nella Striscia, che ha mutato forma rispetto alla fase di maggiore coinvolgimento delle truppe di terra, sembra che per le Israel defense forces stia dando i risultati sperati.

Secondo il ministro della Difesa, Yoav Gallant, che ha parlato alla Knesset, le Tsahal avrebbero eliminato il “60% dei terroristi” di Hamas nella Striscia. E anche i cosiddetti “battaglioni” dell’organizzazione avrebbero subito pesanti perdite, riducendosi di numero. “Abbiamo riportato a casa la metà degli ostaggi e siamo determinati a fare altrettanto per il resto” ha detto Gallant confermando gli obiettivi prioritari del conflitto. E ora, mentre anche ieri sono proseguiti i raid su Gaza city e Khan Younis (qui sarebbero morte circa 30 persone in un attacco nei pressi della scuola Al-Awda, ad Abasan al-Kabira), il piano dell’Idf sembra essere quello di premere su Hamas affinché ceda alle richieste di Israele e dei mediatori. Per Sinwar, vero decisore delle operazioni della milizia (molto più del capo dell’ufficio politico Ismail Haniyeh), ora potrebbe essere il momento di un nuovo cambiamento di strategia.

Il capo di Hamas nella Striscia di Gaza continua a essere il ricercato numero uno di Israele, e tutti i suoi più stretti collaboratori confermano che la sua intenzione è quella di arrivare a un accordo definitivo sul ritiro dell’Idf o votarsi al martirio. Allo stesso tempo, però, Sinwar vuole garantire la propria incolumità e il credito ottenuto all’interno delle fazioni palestinesi. E secondo alcuni osservatori, potrebbe essere giunto il momento di inviare un segnale ai suoi partner esterni e dare tregua a una popolazione allo stremo, specialmente nelle tendopoli ormai ricolme di sfollati e con condizioni umanitarie disastrose. Inoltre, Sinwar per molto tempo ha avuto come scopo quello di compattare il fronte di Gaza con quello libanese di Hezbollah. E dopo i vari contatti avuti tra delegazioni di Hamas e della milizia sciita, e dopo una continua guerra a bassa intensità tra Idf e Hezbollah, ieri il segretario generale del Partito di Dio, Hassan Nasrallah, ha mandato un messaggio chiaro: in caso di tregua nella Striscia, anche i filoiraniani del Libano cesseranno i loro attacchi su Israele.