Il Cremlino ha parlato: “Scateno la tempesta sull’Europa”. Usando il gas – e altre materie prime – al posto dei carri armati. La guerra ibrida che lo zar Putin ha dichiarato da tempo al sistema delle democrazie è in piano svolgimento. E anche i più scettici, perché simpatizzanti di Putin, devono rapidamente fare marcia indietro. E ammettere che il re è nudo: l’attacco militare all’Ucraina è un “di cui”, l’obiettivo è l’Europa, il patto atlantico e la ricerca di un “nuovo ordine mondiale”. La chiusura dei rubinetti del gasdotto Nord Stream 1, principale via di approvvigionamento per i paesi europei confermata ieri dal portavoce di Putin Danil Peskov come arma di pressione “finché non saranno ritirate le sanzioni”, significa due cose.

La prima: sono la richiesta più esplicita di Mosca alla Ue di revocare le sanzioni in cambio della ripresa delle forniture di gas. Mai finora le due cose erano state collegate le une alle altre in modo così esplicito. La seconda: per il Fondo monetario il pil russo crollerà quest’anno tra il 7 e l’8,5 %; le previsioni a marzo erano più nefaste e non c’è dubbio che il sistema mostra una sua resilienza ma il Cremlino non potrà reggere a lungo questa inversione. Da qui la minaccia finale all’Europa. Il braccio di ferro è in corso. La posta in palio è scriteriata: vedere chi salta per primo, Europa o Russia. Quando è chiaro che se l’Europa dipende da Gazprom (circa il 50% del fabbisogno), Gazprom dipende dall’Europa.

Finalmente – è il caso di dire – nell’ultima settimana il quadro si è chiarito a tutti e Bruxelles può passare dalle parole ai fatti. Quei fatti che Mario Draghi indica ai colleghi europei da almeno un anno, da quando è iniziata l’impennata dei prezzi e il ministro Cingolani avvisò: “Ci sarà un aumento forsennato dei prezzi dell’energia”. Ovverosia mettere in campo un bazooka per l’energia, il price cap, un limite al prezzo del gas oltre il quale l’Europa non può acquistare. Un whatever it takes a cui però per dodici mesi i 27 hanno detto no. Con motivazioni sempre diverse che, alla fine, hanno protetto interessi individuali di alcuni paesi del Nord Europa. A cominciare dall’Olanda, passando per la Germania speranzosa fino all’ultimo che le minacce russe non diventassero fatti. Un anno dopo il bazooka immaginato dal premier Draghi prende forma nelle parole del presidente Ursula von der Leyen. Tra le misure allo studio della Commissione europea per contenere l’aumento dei prezzi c’è infatti anche il “price cap al gas russo”.

La Presidente dell’esecutivo Ue ha scritto un tweet eloquente: “Putin sta usando l’energia come arma tagliando l’offerta e manipolando i nostri mercati energetici. Fallirà. L’Europa prevarrà. La Commissione europea sta preparando delle proposte per aiutare le famiglie e le imprese vulnerabili a far fronte ai prezzi elevati dell’energia”. Negli stessi minuti ieri pomeriggio analogo annuncio è arrivato anche dal presidente Macron: “Se la Commissione europea decidesse di porre un tetto al prezzo del gas acquistato dalla Russia, la Francia sosterrebbe tale misura”. Il Presidente francese ha parlato dopo una videoconferenza avuta con il cancelliere tedesco Olaf Scholz in cui è stato deciso tra i due paesi un patto di mutua assistenza energetico, la Germania avrà il gas francese e la Francia avrà l’energia elettrica prodotta per lo più in Germania.Siamo a favore di pratiche comuni di acquisto del gas” ha aggiunto Macron che “consentirebbero di acquistarlo a prezzi più economici”. Manca ancora la parola di Scholz. E di Rutte. Ma la strada questa volta sembra segnata. Non è un caso che ieri dopo un’apertura in forte rialzo (284, nulla contro i 430 di una settimana fa) al Ttf di Amsterdam, il prezzo nel pomeriggio ha chiuso a 246.

È da marzo scorso che a Bruxelles i tecnici studiano le modalità di un eventuale price cap. L’Ue sta valutando il modello proposto da mesi dal governo italiano. L’Agi ieri ha anticipato un documento in cui l’ipotesi comporterebbe l’introduzione di un limite di prezzo per le importazioni di metano russo, dando certezze al mercato su prezzi e volumi. L’obiettivo principale sarebbe “limitare le entrate che la Russia ottiene dalla vendita all’Europa”. Questa ipotesi “renderebbe anche meno conveniente per la Russia provocare aumenti dei prezzi attraverso interruzioni parziali o manipolazioni del mercato che aiuterebbero a limitare la volatilità e l’incertezza sul mercato del gas una volta fissato il limite di prezzo russo”. Oggi, la Russia mantiene “i ricavi nonostante i tagli nei volumi scambiati a causa dell’aumento dei prezzi del gas nell’Ue. Riducendo i volumi e influenzando i prezzi (anche creando incertezza), la Russia sta esercitando un potere monopolistico sulle forniture di gas naturale all’Europa”.

Allo stesso tempo, il gas via tubo non può essere facilmente dirottato verso paesi terzi. Secondo dati ufficiali i flussi russi verso l’Europa sono diminuiti di circa il 40% a giugno 2022 rispetto a maggio 2022, pari a circa 1,5 miliardi di euro di ricavi mensili persi per la Russia. Tuttavia, nel mese di luglio 2022 i profitti provenienti dal gas trasportato via pipe sono cresciuti del 4% rispetto al mese precedente. Meno gas venduto e maggiori profitti: una truffa che va spezzata. Tra le ipotesi allo studio, anche diversi price cap a seconda della dipendenza dal gas russo in diverse aree europee (est Europa zona rossa, maggiormente dipendente, penisola iberica zona verde meno dipendente) e la facilitazione degli scambi tra le diverse aree.

La Ue avvisa che un’ipotesi del genere può provocare l’interruzione totale delle forniture da parte della Russia. Cosa che nei fatti è avvenuta ieri. Il tempo, quindi, è scaduto. Occorre agire. In tre mosse. Il primo momento operativo è domani quando a Bruxelles ci sarà un seminario dedicato agli esperti di energia dei 27 paesi per illustrare i modelli di “price cap” sul tavolo della Commissione. Una sorta di preconferenza tecnica in modo che venerdì 9 – secondo step – i ministri europei arrivino a Bruxelles con le idee chiare e possano trovare una quadra. Un altro rinvio non sarebbe sopportabile. La Commissione vuole avere un confronto con gli Stati per capire non solo le loro posizioni ma anche le iniziative già intraprese e vedere quali estendere a livello comunitario.

Il terzo passaggio, quello cruciale, è atteso il 14 settembre quando Ursula von der Leyen pronuncerà alla plenaria del Parlamento a Bruxelles il discorso sullo Stato dell’Unione. Quel giorno la Presidente dovrà dare il dettaglio delle “misure di emergenza” che dovranno essere prese per placare l’aumento delle bollette nelle prossime settimane. Ci sono voluti sei mesi per unire l’Europa contro il virus. Quasi un anno per mettere mano ad un Recovery per l’energia, un debito comune sulla falsariga di quello sanitario.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.