Un grado e un’ora in meno. A partire dal primo ottobre. Chi si aspettava tragedie, resterà probabilmente deluso. Il fatto è che il governo Draghi, forte dell’81,93 per cento degli stoccaggi già riempiti (la media negli anni “normali” è 87-89%), meglio della maggior parte degli altri paesi Ue perché ci siamo mossi prima con la diversificazione, non propone al momento piani di razionamento drammatici e traumatici per far fronte al caro energia. E anzi, poiché di guerra di nervi con Mosca si tratta, il governo mostra di avere idee chiare e pensieri lunghi. Nonostante sia in uscita nella prima settimana di novembre.

Ieri mattina il premier Draghi ha riunito il Consiglio dei ministri per fare il punto sul Giubileo 2025, esaminare alcuni decreti del Presidente della Repubblica sulla scuola e fissare un nuovo cronoprogramma per “raggiungere tra settembre e ottobre almeno la metà dei 55 obiettivi necessari entro la fine dell’anno per accedere alla terza rata del Pnrr”. La riunione è stata soprattutto l’occasione per il ministro Cingolani di fare un’informativa aggiornata ad oggi sul Piano di risparmio energetico. Un grado in meno – di temperatura in casa – e un’ora in meno di accensione di termosifoni – ha la semplicità dello slogan e la forza dei numeri: una “cura” del genere – a cui vanno aggiunti quindici giorni di accensione in meno ad inizio e/o fine stagione fredda – fa risparmiare 180 euro di bolletta nelle singole case e 2,7 miliardi metri cubi di gas all’anno. Per la precisione, 1,6 miliardi di risparmio arrivano dall’abbassamento di un grado e 550 milioni dal taglio di un’ora.

L’uso delle pompe di calore elettriche già installate per il condizionamento estivo e usate per il riscaldamento invernale, la riduzione dell’uso del gas per le docce e la cucina, un minor consumo di energia grazie ad un miglior uso degli elettrodomestici, possono portare ad un risparmio di ulteriori 3,6 miliardi l’anno. Per dare idea delle grandezze di cui stiamo parlando, il fabbisogno nazionale di gas è di 76 miliardi (nel 2021). Sembra un risparmio da poco, ma è quello che ci mette al riparo da ulteriori razionamenti. nell’industria, ad esempio. Il razionamento sarà operativo dal primo ottobre e tanto negli edifici pubblici quanto in quelli privati. Saranno esclusi Rsa e ospedali, ovviamente. Successive circolari daranno il dettaglio. Anche per quello che riguarda i controlli. E’ chiaro che il successo della misura si basa soprattutto sul senso civico di ciascuno di noi. Sono state escluse misure per la scuola. “Non se ne parla, non scherziamo” è stato detto nella riunione.

Tra gli interventi, il governo darà a prezzi calmierati 18 terawattora e due miliardi di metri cubi di gas alle aziende per evitare chiusure.
Cingolani ha rinviato per ulteriori dettagli a dopo il 9 settembre, il giorno in cui i 27 ministri dell’ambiente europei sono convocati a Bruxelles per decidere una volta per tutte cosa fare per fronteggiare i ricatti di Mosca. Durante il Cdm è stato fatto notare come nella settimana tra il 23 e il 27 il prezzo del gas ad Amsterdam abbia toccato livelli mai visti (340 euro per mgw) in vista della chiusura di Nordstream dal 31 agosto al 2 settembre, cioè oggi. Dal 28 agosto in poi la flessione costante. La prova che il prezzo risente molto dei ricatti di Mosca rispetto all’Europa suo cliente fisso e quasi esclusivo (anche Gazrprom da qualche mese sta diversificando).

Da qui al 9 possono, devono, succedere tante cose. Almeno cosi sperano Draghi e Cingolani. Che lavorano ad un nuovo decreto, il terzo, per aiutare famiglie ed imprese e che sarà pronto la prossima settimana. Intanto tessono la propria tela. Con Bruxelles, Parigi e Berlino. La consapevolezza è che bisogna fare presto. Il 9 ci deve essere una risposta. Il Presidente del Consiglio punta a realizzare quanto chiede da gennaio: il price cap europeo, ovverosia un prezzo politico al costo del gas. È il Cancelliere tedesco Olaf Sholtz il principale ostacolo a questa decisione, convinto che il patto europeo sui prezzi possa diventare un boomerang per le nostre economie. La presidente Ursula von der Leyen, con cui Draghi è in contatto costante, avrebbe promesso di favorire l’intesa offrendo la sponda della Commissione.

Analoga mossa è in corso con l’Eliseo: il presidente Macron è favorevole al prezzo politico concordato sul gas ma lo vincola alla riforma delle regole del mercato dell’energia europeo. I tecnici italiani vicini al dossier sostengono che per il price cap basterebbe un regolamento per renderlo subito operativo “in quanto misura provvisoria ed emergenziale”. E’ chiaro che sarebbe Bruxelles, e non ciascuno stato, a mettere la differenza di danaro utile a compensare la forbice tra il prezzo garantito e quello di mercato. Gli economisti sono sicuri che basterebbe questo per fermare la folle speculazione in atto. Più complicato invece disaccoppiare il prezzo del gas da quello dell’energia elettrica.

Il problema è che se dovesse fallire l’operazione del price cap è chiaro che il governo, per quanto uscente, si troverebbe a fare i conti con la necessità di uno scostamento di bilancio. Cosa che Draghi non è intenzionato a fare per evitare che l’Italia, già esposta per via del debito e delle fibrillazioni politiche, finisca sotto attacco su debito e spread. Nel caso, sarà il governo che subentrerà a prendere una decisione così gravosa. E i favoriti, cioè Fratelli d’Italia, non sono favorevoli a fare nuovo debito. “Dobbiamo prima vedere i conti” ripete quasi ogni giorno Giorgia Meloni. Di parere contrario Salvini, che lo chiede da mesi, e anche Forza Italia. Come si cambia quando da opposizione si sta per diventare maggioranza con regole e responsabilità da rispettare.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.