Il capofila del partito dei No? Le nostre amate Sovrintendenze, custodi della bellezza, della specificità e unicità del suolo italico. La scoperta ha il sapore amaro delle cose che non ti aspetti. Provoca rabbia e stupore. Si fa un gran parlare di rinnovabili, semplificare, autorizzare perché abbiamo bisogno come del pane di pannelli fotovoltaici, pale eoliche e pannelli solari. Abbiamo bisogno di produrre energia gratuita dal sole e dal vento almeno per garantire luce e riscaldamento nelle nostre case senza strozzarci a bollette ostaggio di speculazioni e importazioni di fossili come il gas. Bene, tutto chiaro.

Ma non per le Soprintendenze e le varie commissioni paesaggistiche che fanno capo a ciascuno di questi potentissimi uffici e alle Regioni. Un ginepraio di soggetti autorizzativi che fa venire il mal di testa. E che, si scopre, blocca l’87% dei progetti con rinnovabili. Il più grosso soggetto Nimby – not in my backyard, mai nel mio cortile – dell’amministrazione pubblica sono le Sovrintendenze e il ministero dei Beni Culturali che le rappresentano. Nessuno ministro finora, compreso Franceschini, è riuscito a scalfire il potere di interdizione di questi uffici. Il governo Draghi ha cercato di dare una svolta e ha approvato una norma per cui in caso di contenzioso tra i due ministeri – Mite e Beni Culturali – che si prolunga nel tempo, interviene il Consiglio dei ministri che sblocca le autorizzazioni. In questo modo in un anno è stato sbloccato più della metà di quanto autorizzato negli ultimi quindici anni.

Il paradosso è che l’ambientalismo che chiede più energia rinnovabile è lo stesso ambientalismo che blocca tutto in nome della tutela del paesaggio e dell’identità dei luoghi. Non se ne esce. Pare. La scoperta è dell’Osservatorio regions2030 del Centro studi Elemens insieme con Public Affairs Advisor. Il buco nero dove la quasi totalità dei progetti sulle rinnovabili si ferma si chiama VIA, acronimo che sta per Valutazione di impatto ambientale. Le VIA sono in capo al ministero per la Transizione ecologica, quindi Cingolani. Ma Cingolani deve sottostare anche al via libera paesaggistico e culturale delle Sovrintendenze, cioè del ministero della Cultura guidato negli ultimi tre anni dal ministro Dario Franceschini (Pd). L’Osservatorio Regions2030 ha calcolato che su 76 pareri rilasciati dal ministero della Cultura, oltre l’87% è contrario alla realizzazione dei progetti.

Entro la fine di agosto, cioè ieri, le due commissioni di valutazione del ministero della Transizione ecologica (Via-Vas, valutazione di impatto ambientale e strategico e Pnrr) dovrebbero aver esaminato progetti di rinnovabili per una potenza totale di 1200 megawattore. Però poi tutto dipende dal ministero della Cultura che raccoglie i No di associazioni, comitati e sovrintendenze. In caso di contenzioso, cioè quasi sempre, il dossier finisce al dipartimento Dica della Presidenza del consiglio che a gruppi di una dozzina per volta li porta in Consiglio dei ministri per lo sblocco definitivo. Una procedura assurda. Che fa perdere un sacco di tempo. L’onorevole Librandi (Iv) spiega, basandosi di dati Terna, che sono 1400 gli impianti tra eolico, fotovoltaico e biomasse bloccati dalla burocrazia. Così facendo è chiaro che l’obiettivo di 80gw di rinnovabili entro il 2030, cavallo di battaglia di Verdi e sinistra italiana ma un po’ di tutti i partiti almeno a sentire gli slogan della campagna elettorale, è irrealizzabile.

Il problema è che le rinnovabili, oltre a non poter essere stoccate, hanno anche bisogno di impianti estesi ed altamente impattanti ad occhio nudo: intere colline e vallate piene di pale eoliche e distese di moduli di silicio (i pannelli) sui tetti nei borghi, nelle città e nei campi. Tutti li vogliono ma nimby, not in my backyard, non nel loro cortile. Un po’ come i rigassificatori e i termovalorizzatori. Un po’ come il nucleare a cui diciamo no ma lo acquistiamo in Francia in centrali che sono a meno di cento km dal nostro confine. Lo studio Regions2030 ha analizzato i singoli progetti e l’87% di no. Ecco i motivi di quei no che spesso si sommano e pesano sullo stesso progetto: nel 70% dei casi il motivo sta nel vincolo paesaggistico; l’assenza di analisi geologiche pesa per il 38%; nel 31% dei casi il No nasce dall’impatto sulla valutazione agricola; il 22% dei rifiuti sono dovuti al fatto che ci sono molti altri impianti eolici nella stessa zona. E poi, distanze non rispettate, interferenze con altre attività produttive. Di chi la colpa allora? Gli uffici sono inadeguati e poco preparati? Oppure i vincoli sono eccessivi?

Oggi tutti gli impianti eolici maggiori di 30mgw e fotovoltaici maggiori di 10 mgw devono essere prima vagliati dal Mite e poi dalla Cultura. Restano in mano alle Regioni i progetti al di sotto di questa potenza. In quindici anni sono stati sottoposti alle Commissioni di Valutazione di impatto ambientale 15.300 mgw eolici, ovverosia progetti in grado di produrre quale volume di energia. Hanno ottenuto il via libera 1300 mgw, meno di un decimo. Di questi, 672 mgw sono stati sbloccati nell’ultimo anno grazie alle procedure accelerate volute dal governo Draghi. Ulteriori 452 mgw sono stati autorizzati a fine luglio, a governo già in uscita. Sempre la stessa storia: il Mite dice sì, i Beni Culturali dicono no, palazzo Chigi decide e sblocca. Numeri troppi piccoli per una vera transizione energetica in chiave green.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.