Alla fine ha votato sì al “decreto Ucraina”, pur in dissenso sull’invio di armi a Kiev. Quanto all’incremento delle spese miliari, la sua posizione politica è racchiudibile in un “No”. Un “No” quello di Laura Boldrini, coerente con una storia personale che l’ha vista sui teatri più esplosivi del pianeta, prima nella sua venticinquennale esperienza nelle Agenzie delle Nazioni Unite, e successivamente nell’impegno politico-parlamentare che l’ha portata ad essere Presidente della Camera dei Deputati e oggi Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo.

Presidente Boldrini, il mondo è sotto shock per l’eccidio di Bucha.
Questa atrocità commessa dalle forze armate russe ricorda a me e a tutti noi che stiamo di fronte ad una escalation di violenza, di morte, di distruzione. L’Europa non deve spingersi oltre sul sentiero di guerra, perché è una strada che, come stiamo vedendo, non riesce a fermare l’aggressione di Putin. Con l’invio delle armi si allarga il conflitto, si allunga l’agonia e anche il carico di morte e distruzione. Inoltre in questo caso mi verrebbe da dire che la guerra è il terreno di Putin. Bisogna assolutamente uscire da questa trappola. Perché è una trappola. Bisogna fare altro…

Vale a dire?
Intanto allargare il numero dei Paesi che mettono le sanzioni. Nel mondo ci sono 195 Paesi. Solo una quarantina hanno messo le sanzioni. Tutti gli altri no. E parliamo di Paesi importanti, come la Cina, l’India, il Pakistan, il Brasile, l’Argentina, il Sudafrica… Come prima cosa bisognerebbe lavorare a livello diplomatico per offrire a questi Stati condizioni interessanti con l’obiettivo di far venir meno, o comunque limitare fortemente, i rapporti che hanno con la Russia. E quindi agganciarli in qualche modo nella nostra orbita, quella dell’Unione Europea, in modo che Putin non abbia la possibilità di supplire con interscambi con altre potenze. Insomma, fare terra bruciata, dal punto di vista commerciale, degli scambi, delle relazioni, attorno al regime russo. C’è poi da fare un discorso di medio-lungo periodo…

Quale sarebbe?
Se noi vogliamo fare sul serio nel cercare di porre fine alla guerra, dobbiamo smettere di finanziare la guerra di Putin. Ciò vuol dire embargo totale del gas e del petrolio russi. Ogni giorno l’Unione Europea dà alla Russia 800 milioni di euro. L’Italia ne dà 80. Con quei soldi Putin si finanzia la guerra contro l’Ucraina. Non prendere gas dalla Russia per noi vuol dire anche ridurre i consumi, almeno del 10%. Se siamo veramente solidali, è un prezzo che dobbiamo prendere in considerazione.

A proposito di importanti prese di posizione. Lei è stata tra i pochi parlamentari che hanno eccepito al “decreto Ucraina” e alla decisione del Governo di portare, sia pure diluite nel tempo, le spese militari al 2% del Pil. Per questa sua posizione, è stata tacciata di fare il gioco di Putin. Come risponde?
Non scherziamo! Io ho attaccato da moltissimi anni Putin per la sua politica liberticida ai danni delle cittadine e dei cittadini russi. Voglio essere chiara: non vi può essere, almeno per quanto mi riguarda, alcuna equidistanza con chi ha fatto quel che ha fatto in Cecenia, in Georgia, in Crimea, in Siria e che ora sta facendo in Ucraina. Il punto è un altro: come si indebolisce davvero la leadership di Putin? Io resto convinta che non si ottenga ciò con l’invio di armi all’Ucraina. Mi lasci aggiungere che sono totalmente agli antipodi, e non da oggi, a quella dimensione filo-putiniana che invece nel nostro Paese ha attecchito assai. Putin ha avuto molti amici in Italia, che si sono sempre prodigati per presentarlo come un riferimento politico…

Fuori i nomi, presidente Boldrini.
Mi riferisco in particolare a Berlusconi, a Salvini, a Meloni. Putin era una figura d’ispirazione per i sovranisti di tutto il mondo, anche quelli di casa nostra. Putin ha interferito nelle elezioni di molti Paesi democratici. Su questo non ho mai fatto sconti. Ma anche per esperienza diretta, non posso accettare di considerare l’invio di armi come la soluzione a un conflitto. Perché il conflitto si risolve sempre per le vie negoziali e politiche.

Non c’è d’avere un po’ di paura nell’affermarsi, soprattutto nei talk show televisivi, di un pensiero unico in mimetica?
Avverto che c’è molta semplificazione nel ragionamento. Perché è vero che c’è un’aggressione inconcepibile, inaccettabile da parte di Putin. Però questo non ci deve impedire di elaborare un pensiero più articolato. Credo che occorra costruire un ordine internazionale basato sulla sicurezza comune. Il che significa far crescere l’idea che io non sono al sicuro se il mio vicino non si sente al sicuro. E questo ordine internazionale ci porta anche a capire l’importanza del disarmo.

La costruzione della pace viene da lontano.
Vede, l’Italia e l’Unione Europea hanno un profilo ispirato dalla pace. Ci sono decenni e decenni di lavoro fatto per il disarmo, la distensione. In questi decenni, a partire dagli anni ’70, abbiamo lavorato sul Trattato di non proliferazione nucleare; abbiamo lavorato alla Dichiarazione di Helsinki, con la creazione anche dell’Osce, sempre con l’obiettivo di superare la logica della contrapposizione dei blocchi e della Guerra Fredda. Ci sono stati i trattati Start tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Trattati che avevano come obiettivo la riduzione del 30% degli armamenti nucleari strategici. Noi abbiamo una tradizione basata sullo sforzo della distensione. Noi non possiamo, non dobbiamo permettere a Putin oggi di spazzare via tutto questo, di cancellare settant’anni d’impegno sul disarmo. L’Ue oggi non si può ritrovare sul riarmo. Io trovo questo assai miope e pericoloso.

Paura?
Ogni singolo Paese dell’Ue sembra impegnato in questa corsa al riarmo. La Germania: 100 miliardi di euro, ma anche la Francia, la Polonia, la Svezia, l’Italia stessa. L’aumento delle spese militari a livello nazionale allontana e scoraggia l’idea di una difesa comune. Una difesa comune che deve avere come base una politica estera comune: questo dovrebbe essere il nostro obiettivo.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.