L’andamento della pandemia torna a essere il maggior problema per l’economia mondiale e in questo autunno prevarranno «di gran lunga» i rischi negativi, con un rallentamento della crescita nel quarto trimestre dopo il rimbalzo estivo, mentre la «ripresa della normalizzazione» è rimandata «alla tarda primavera del 2021» quando si tornerà a correre. È lo scenario configurato dalla Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo. A livello globale, l’espansione per il prossimo anno è prevista al 5,4%, dopo una contrazione del 4,6%. A spingere, la Cina: + 2,1% e +7,6% rispettivamente quest’anno e il prossimo.

Tante incognite per gli Stati Uniti, alimentate dal rischio politico: una crisi istituzionale dopo le presidenziali di novembre non è da escludere, mentre nel medio termine veti incrociati sugli accordi bipartisan potrebbero pregiudicare il già ritardato rinnovo dello stimolo fiscale, senza il quale la ripresa non appare sostenibile. Per il pil americano, Intesa prevede -3,9% nel 2020 e +3,7% nel 2021. Per l’area euro la previsione sul 2021 è +5,9. La stima però potrebbe esser rivista al ribasso di metà, se la seconda ondata del Covid avesse sviluppi molto gravi. Per l’Italia «il recupero sarà lento». A tirare il freno, il settore servizi: nel 2021 il pil salirà del 6,5% dopo un calo del 9,5 quest’anno. Significa che la ricchezza nazionale rimarrà inferiore di oltre tre punti e mezzo rispetto ai livelli pre-Covid. Per superare i quali si dovrà aspettare il 2027. Mentre in Germania lo si farà già entro la fine del 2021 e in Francia nel 2022. In questo quadro, «nei prossimi mesi i dati economici non daranno molto sostegno alla crescita dei mercati azionari», dice al Riformista Economia il responsabile delle analisi macro di Intesa Sanpaolo Luca Mezzomo.

Andiamo incontro a una correzione delle borse europee?
«Se tutto dipendesse dai dati economici, e non è così, credo che sarebbe piuttosto una fase di stallo. La situazione potrà migliorare – e anche di molto – nel 2021, quando l’incertezza dovuta al persistere della pandemia verrà meno. Il fatto è che nei mesi scorsi tra l’andamento del mercato azionario e le prospettive dell’economia c’è stata una divergenza: anche quando i dati son migliorati durante l’estate, mai si è pensato che in Europa si tornasse ai livelli pre-crisi prima del 2022. E per gli Stati Uniti, la previsione era di poco migliore».

Che cosa vi aspettate per il cambio euro-dollaro? La modifica degli obiettivi di inflazione da parte della Fed indebolisce il biglietto verde? Sbaglia la Bce a non intervenire?
«La Bce ha fatto quel che doveva. Il cambio per l’Eurotower non è un obiettivo, è una della variabili nel quadro generale, che aveva tanti altri elementi in miglioramento, negli ultimi mesi».

Ma l’euro forte non è un guaio per il nostro export?
«Il tasso di cambio oggi è molto meno rilevante per l’economia. Anche la frammentazione internazionale delle catene del valore indica che le imprese sono meno sensibili alle fluttuazioni delle valute per la loro posizione competitiva. Per quanto riguarda il rapporto euro-dollaro, comunque, sono da considerare le motivazioni dietro l’apprezzamento della moneta unica. Parte del movimento dell’estate rifletteva un calo della preoccupazione per la pandemia in Europa: i flussi cautelativi che avevano sostenuto il dollaro nei mesi precedenti ora sono saltati. Quando è tornato a crescere il livello di allarme per la pandemia da questa parte dell’Atlantico, l’euro si è relativamente indebolito».

Ci si aspetta una riduzione dell’intensità del Quantitative Easing?
«Per gli Stati Uniti non ci aspettiamo un rallentamento dello stimolo quantitativo almeno fino alla metà del 2022. Potrebbe esserci una ricomposizione tra gli acquisti netti in favore dei titoli del tesoro. Ma il volume non diminuirà. Nel nostro scenario prevediamo un nuovo pacchetto fiscale, senza cui il 2021 diverrebbe più complicato. La nostra stima di una crescita del 3,7% presuppone un deficit pubblico complessivo intorno al 17,8% del pil quest’anno e tra il 10 e l’11% nel prossimo. Ben al di sopra, quindi, rispetto alla zona euro. La Federal Reserve dovrà contribuire a sostenerlo».

La Bce amplierà il sostegno al debito dei Paesi euro varato per la pandemia?
«Quelli autunnali e invernali non saranno dei gran trimestri per la crescita ed è probabile che la Banca centrale aumenti la dimensione del programma straordinario di acquisto e lo proroghi fino al dicembre 2021. Sui mercati c’è questa aspettativa».
Le economie dell’area euro finora son sembrate più forti del previsto, almeno sul lato dell’offerta. In particolare quella italiana…
«La reazione vigorosa di politica fiscale e monetaria è stata di grande aiuto. Il problema sarà la tenuta della domanda, rimbalzata con forza appena beni e servizi son tornati disponibili dopo il lockdown, ma destinata a un minore slancio a causa della perdita di posti di lavoro e del calo di redditività delle imprese. Agirà anche, purtroppo, l’emergenza sanitaria. Ma la posta in gioco è più bassa di quella della scorsa primavera: lo spazio di caduta adesso è inferiore. Ci sono settori, come i servizi di ristorazione e di alloggio, i trasporti e il turismo, lontanissimi dai livelli normali. Se arrivasse un altro periodo di confinamento, la perdita di valore aggiunto in aggregato sarebbe limitata. Nel peggiore dei casi, il pil avrebbe una flessione solo lieve. Ma penso che ci siano oggi gli strumenti per controllare l’epidemia senza fermare tutto».

In ottobre Standard & Poors rivedrà il rating sull’Italia. Ora è appena sopra a junk, “spazzatura”. Outlook negativo. Quest’anno abbiamo speso 100 miliardi in pacchetti fiscali e avremo una contrazione del pil a due cifre. Taglio del rating in arrivo?
«Qualche mese fa c’era di che preoccuparsi. Ma con l’entrata in campo aggressiva dell’autorità monetaria e l’approvazione di Next Generation Eu è cambiato tutto, anche dal punto di vista delle agenzie di rating. Perché la componente di spesa diretta inserita in Next Generation Eu sposta parte dello stimolo fiscale dagli stati a un livello aggregato».

Sapremo spendere bene queste risorse?
«Dobbiamo concentrale sui progetti e le riforme che hanno le maggiori probabilità di portare a una crescita oltre il breve termine. In una fase come questa, si deve evitare che lo stimolo alla domanda diventi un fuoco di paglia: serve un sforzo di rinnovamento che migliori la competitività del Paese».