La legittimazione della magistratura, che nel nostro ordinamento democratico si basa sul consenso e sulla credibilità del corpo giudiziario presso l’opinione pubblica, sta attraversando un periodo molto difficile. Mi limito qui a richiamare quanto è emerso dalla sciagurata vicenda Palamara, che ha svelato in tutto il suo squallore un sistema che ha messo nelle mani delle correnti tutto ciò che riguarda lo stato giuridico dei magistrati.

Assegnazione della sede, trasferimenti, promozioni, incarichi direttivi, applicazioni presso istituzioni e uffici esterni alla magistratura sono stati lottizzati sulla base di una logica spartitoria a seconda dell’appartenenza alle varie correnti, attraverso un sistema di raccomandazioni e di scambi di favori a cui hanno dovuto sottomettersi molti, troppi magistrati per perseguire le loro legittime aspettative di carriera. Di questa brutta storia, documentata nel libro-intervista rilasciata da Palamara a Alessandro Sallusti, si è già molto parlato. Oggi intendo occuparmi, senza entrare nei particolari dei singoli casi, di come sia stato possibile che alcuni organi giudiziari monocratici, quali sono i pubblici ministeri e i giudici per le indagini preliminari, abbiano impunemente svolto in modo improprio le loro funzioni, senza alcun intervento dei titolari degli organi di supremazia e di controllo. Mi riferisco, evidentemente, ai capi dei rispettivi uffici, al Consiglio Superiore della Magistratura (Csm), al ministro della Giustizia.

Nel corso delle vicende che hanno turbato il normale funzionamento della giustizia abbiamo registrato dei grandi assenti, a seconda dei casi i procuratori della Repubblica presso i tribunali e i procuratori generali presso le Corti di appello, i presidenti dei tribunali e delle Corti di appello. Salvo il caso della tragedia della funivia del Mottarone, in cui è stata la stessa procuratrice della Repubblica di Verbania a esser messa in discussione, nelle altre vicende non mi risulta che siano intervenuti i capi degli uffici. E proprio di loro vorrei occuparmi. L’organizzazione delle attività svolte dai giudici dei tribunali non spetta, come nel passato, ai capi dei rispettivi uffici, che decidevano discrezionalmente come distribuire le funzioni e i casi ai singoli magistrati, ma è sorretta dal principio costituzionale del “giudice naturale precostituito per legge”. In base a questo fondamentale principio, posto a tutela dell’indipendenza e dell’imparzialità del giudice, i magistrati sono assegnati alle diverse funzioni secondo il cosiddetto sistema tabellare.

Il capo dell’ufficio predispone ogni tre anni piani organizzativi circa la distribuzione delle funzioni e del lavoro tra i giudici, che vengono sottoposti alla valutazione degli stessi magistrati e del consiglio giudiziario del distretto di corte di appello prima di essere inviati per l’approvazione del Csm. Si formano così le “tabelle” che stabiliscono secondo criteri obiettivi e predeterminati le funzioni e i casi di cui sarà titolare ciascun giudice, che diviene così il “giudice naturale precostituito per legge”, che non può essere sostituito se non nei casi tassativamente previsti dalla legge. Al riguardo, è presumibile che la giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verbania sia stata legittimamente sostituita perché secondo le “tabelle” il disastro della funivia spettava alla collega che era il giudice naturale precostituito per legge, mentre la giudice che aveva preso in esame la convalida dei fermi era intervenuta essendo quel giorno di turno per gli affari urgenti.

Del tutto intempestivo è stato quindi l’intervento dell’Unione delle Camere Penali Italiane, che ha denunciato la gravissima violazione del principio del giudice naturale, senza verificare quali fossero secondo le tabelle i rapporti tra i due giudici del Tribunale di Verbania. Meno rigide sono invece le tabelle relative agli uffici del pubblico ministero: il procuratore della Repubblica può infatti revocare, con provvedimento motivato e ricorribile al Csm, la delega per i casi che erano stati discrezionalmente assegnati ai singoli sostituti procuratori. Da questo quadro emerge la grande importanza che assume il ruolo del capo dell’ufficio, sia esso il presidente del tribunale o il procuratore della Repubblica, ai fini del buon funzionamento della giustizia in casi di particolare gravità e complessità quale è appunto la tragedia della funivia del Mottarone.

Il giudice “naturale precostituito per legge” a cui secondo le tabelle è assegnata la pratica dovrebbe essere opportunamente affiancato dal presidente del tribunale o da altro magistrato da lui designato; nel caso della funivia del Mottarone par di capire che titolare dell’inchiesta fosse la stessa presidente del piccolo Tribunale di Verbania e forse allora sarebbe spettato al presidente della Corte di Appello di Torino affiancarle a titolo di sostegno altro magistrato temporaneamente applicato da altra sede. Più semplice invece, come abbiamo già visto, la situazione degli uffici della Procura, ove non vige il principio del pubblico ministero naturale precostituito per legge.

Qui il procuratore della Repubblica può discrezionalmente assegnare la pratica al sostituto procuratore che ritiene essere più adatto per quel determinato caso, ma anche in tale contesto nei procedimenti di particolare gravità il capo dell’ufficio dovrebbe sempre affiancare in prima persona il sostituto procuratore, fermo restando il suo potere di delegare altro o altri sostituti e di revocare quello già nominato. Vi sono dunque tutte le premesse perché le indagini sulla tragedia del Mottarone, particolarmente difficili e complesse sia per l’accertamento delle cause tecniche del disastro, sia per l’individuazione degli imputati cui attribuire la responsabilità a titolo di colpa, procedano sollecitamente, rispondendo al prepotente bisogno di giustizia dei parenti delle vittime e di sicurezza dell’opinione pubblica.