Dopo le pressioni e le minacce di boicottaggio, a quasi due settimane dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, Mc Donald’s annuncia la chiusura temporanea di tutti i suoi 850 punti vendita in Russia. “Continueremo a monitorare la situazione e valutare se ulteriori misure sono necessarie. In questo momento è impossibile prevedere quando potremo riaprire“, ha spiegato l’amministratore delegato Chris Kempczincki, che ha tenuto comunque a precisare che l’azienda continuerà a pagare i suoi 62mila dipendenti nel Paese.

La scelta di chiudere dopo le critiche

La decisione di chiudere i propri ristoranti è arrivata dopo le aspre critiche ricevute dai social e dovrebbe accontentare il grande pubblico, che ormai da giorni chiede alle aziende di essere moralmente responsabili e agire per protestare contro l’invasione dell’Ucraina. Questo stop dell’attività rappresenta però una vittoria anche per gli investitori, preoccupati da eventuali danni alla reputazione, nonché dai crescenti rischi legali e di rispetto delle sanzioni e dei diritti umani.

I nostri valori ci spingono a non ignorare la sofferenza umana inutile” che si sta verificando in Ucraina, ha poi sottolineato Kempczincki. 

Il colosso del fast food va ad aggiungersi alla lista delle multinazionali in fuga dalla Russia. Lo avevano già fatto, nei giorni scorsi, le aziende petrolifere, Apple, Nike e Ikea, solo per citarne alcune.  

Ma le critiche rivolte a McDonald’s stanno interessando anche altre società come Coca-Cola, Starbucks, KFC e Pizza Hut. E alla fine anche Starbucks ha deciso oggi 8 marzo di chiudere i suoi 130 caffè nel Paese. Condanniamo gli orribili attacchi della Russia in Ucraina e siamo solidali con tutte le persone colpite” ha affermato il Ceo di Kevin Johnson. Che ha aggiunto: “Continuiamo a monitorare i tragici eventi e oggi abbiamo deciso di sospendere tutte le attività in Russia, inclusa la spedizione di tutti i prodotti Starbucks”.

L’arrivo in Russia nel 1990

In Russia e in Ucraina McDonald’s ha appena il 2% del totale dei suoi ristoranti, da cui arriva il 9% dei ricavi globali (circa 2 miliardi di dollari). Una quota ridotta, anche se non trascurabile, che è in realtà il risultato di anni di investimenti e lavoro.

Quando il brand aprì nel 1990 a Mosca, che era allora ancora parte dell’Unione Sovietica, fu un evento straordinario: divenne il simbolo dell’ascesa del capitalismo a scapito del comunismo. Nel suo primo giorno di attività circa 30.000 russi si misero in fila per assaggiare i suoi celebri hamburger. 

Mariangela Celiberti

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