Ondeggia scomposta come un cadavere al vento Forza Italia. Ma agli alleati in attesa di spartisene prima gli eletti e poi gli elettori, dopo i calci nei (loro) denti sferrati nelle ultime 48 ore da un mai così vitale Silvio Berlusconi, da ieri non basta più nascondersi dietro alle allusioni a un padre fondatore ormai fuori controllo. Fuori dal loro controllo, questo sì. Non manovrabile nemmeno con chiamate accorate agli affetti più cari, forse pure. Eppure Silvio Berlusconi ha tutta l’aria di menare forte intenzionalmente. Con grande senso dei tempi politici, non solo teatrali.

Come un lupaccio spelacchiato dai denti ancora affilatissimi, ha buttato giù con un solo soffio la casetta di affidabilità atlantica tirata su da Giorgia Meloni in anni e anni di meticoloso lavoro a Washington. Ha minato la salita al Colle della leader di Fratelli d’Italia con la perizia di un marine. E ha disseminato il Senato di trappole e di serpenti sotto le foglie come nemmeno un vietcong. L’esercito meloniano (dentro e fuori Fratelli d’Italia) dei “subito un esecutivo” può riuscire a passar sopra come un carro armato alle precise accuse di Berlusconi a Zelensky, all’uscita su Putin e ai numeri a sorpresa sul tavolo dei ministri. Può ignorare le incongruenze e farle passare come intemperanze di un Capo che non vuol andare in soffitta.

Ma alla Meloni è chiarissimo che il corpo parlamentare del partito di Forza Italia, attraversato dalla guerra tra chi vuol salire sul suo carro e chi la vuole disarcionare, inerte non è. Sa che con Berlusconi una Forza Italia di lotta e di governo è l’insidia più grossa sul suo debutto a Palazzo Chigi. Quindi oltre ad accelerare per riuscire a salire al Quirinale prima possibile, fa mostra di prepararsi a fare a meno di Forza Italia, sapendo bene che al momento a meno non può farne. Le mosse tecniche hanno sempre il loro effetto. Intanto tre dei suoi senatori hanno permesso la costituzione del gruppo “Maie – Noi Moderati -Civici d’Italia”. Maurizio Lupi (i Moderati) ha solo due senatori (De Poli e Biancofiore). Imbarcando Giorgio Salvitti, Giovanna Petrenga, Antonio Guidi di Fratelli d’Italia e l’eletto all’estero Mario Alejandro Borghese ha potuto raggiungere il numero di 6 membri necessario a costituire un nuovo gruppo. E così lo spauracchio di un un nuovo scatolone nel quale raccogliere chi in futuro volesse uscire da Forza Italia per regalarsi alla Meloni già c’è. E sta in Senato.

Dove la maggioranza può ballare facilmente e dove Licia Ronzulli ,capogruppo di Forza Italia, è lì apposta per far sudare freddo alla Meloni ogni volta che riterrà utile e opportuno farla tremare sui numeri. C’è poi il sentiero percorribile delle Autonomie che hanno otto senatori. Presidente lì è ancora Julia Unterberger (Alto Adige, Svp), gli altri sono Meinhard Durnwalder (Svp) Luigi Spagnolli e Pietro Patton eletti in alleanza con il Pd in Trentino Alto Adige e Dafne Musolino in Sicilia eletto con la lista di Cateno de Luca. Pier Ferdinando Casini e i senatori a vita Giorgio Napolitano ed Elena Cattaneo si sono aggregati. Il gruppo aveva detto di voler stare all’opposizione di un eventuale governo Meloni, ma l’Svp potrebbe ripensarci e regalare al governo di destra una provvidenziale astensione.

Uno scatolone (per ora vuoto) tale e quale a quello del Senato è in preparazione alla Camera dei deputati. Dove Francesco Lollobrigida, potentissimo cognato di Giorgia Meloni al quale da molto tempo è delegata l’attuazione delle strategie più delicate del partito, starebbe contrattando le mosse da compiere con Alessandro Battilocchio, deputato forzista legato molto più a Tajani che alla Ronzulli. Un alleato prezioso per la Meloni. Alla Camera per costituire un gruppo servono molti più membri, ben 20, perché il regolamento, a differenza che al Senato, non è stato modificato ancora dopo il taglio dei parlamentari. Intanto pare si sposterà da Fratelli d’Italia Calogero Pisano che passerà ai Moderati. Potrebbe quindi andare brillantemente in porto la costruzione in tutta fretta di un argine alle ondate d’attacco di Berlusconi.

Quanto e con quale celerità si sta mobilitando tutta la destra a questo scopo appariva chiaro dalle prime pagine di Libero e de il Giornale di ieri. Dalla lettura del solo quotidiano della famiglia Berlusconi ieri non era possibile venire a conoscenza delle randellate date dal capofamiglia Silvio al centrodestra da lui creato. “Rebus Giustizia” era diventato il farwest nella coalizione. Come se Silvio Berlusconi non fosse uscito a dire ai cronisti che lui Nordio lo vedeva pure, ma voleva Casellati e che la Meloni era d’accordo. Notizia subito smentita dalla Meloni. Di Putin che manda lettere dolcissime poi, appena un’ombra in un sommario: “Un caso l’audio rubato al Cav su Putin. “Era una storiella”. L’editoriale sapientemente evanescente del direttore Minzolini, sotto l’occhiello d’ordinanza “Subito un esecutivo” discettava poi di un “Ballando sul Titanic” come se a far ballare tutti ieri non fosse stato il padre fondatore del centrodestra. Su Libero troneggiava un Silvio, fermati! Avanti così finisce male. E lettera del direttore Alessandro Sallusti a Berlusconi, un miele dolcissimo per Giorgia Meloni.