L'interrogatorio del padrino
Messina Denaro: “Sono un contadino, non conosco Cosa Nostra”. Silenzio sul piccolo sciolto nell’acido nel 1993

“Mi chiamo Matteo Messina Denaro, lavoravo in campagna ed ero un agricoltore. La residenza non ce l’ho più perché il Comune mi ha cancellato. Ormai sono un apolide.“ Inizia così l’interrogatorio inedito del boss ascoltato il 21 febbraio scorso dal gip Alfredo Montalto e dal pm Gianluca De Leo.
Toni ironici e irriverenti. Una sola regola, negare tutto anche di fronte alle evidenze: “Non faccio parte di nessuna associazione. Quel che so di Cosa nostra lo so dai giornali. Le mie condizioni economiche? Non mi manca nulla. Avevo beni patrimoniali ma me li avete tolti tutti. Se ancora ho qualcosa non lo dico, mica sono stupido”.
“Ha dei soprannomi?” – gli chiede il magistrato – “Mai, me li hanno attaccati da latitante i vari giornalisti. Ma io nella mia famiglia non ho avuto soprannomi”, risponde il boss che, al contrario di quanto ammette, dai suoi era chiamato U siccu e Diabolik. È un Matteo Messina Denaro che recita alla perfezione il copione dei veri capi di Cosa Nostra.
Piccata è anche la risposta sulle condanne riportate – “Credo di sì”. Ma quando il magistrato lo incalza aggiunge: “Mi ascolti, io ho detto credo di proposito perché anche voi dall’altra parte mi avete chiesto se ho sentenze definitive lo sapete pure voi e allora l’ho preso con un po’ di umorismo”.
Il boss risponde poi alle domande del pm Gianluca De Leo nell’ambito di uno dei tanti procedimenti penali che lo vedono coinvolto, stavolta con l’accusa di estorsione aggravata. Secondo i magistrati avrebbe minacciato pesantemente la figlia di un prestanome per farsi restituire un terreno che la famiglia Messina Denaro aveva fittiziamente intestato al padre, Alfonso Passanante.
Messina Denaro racconta la sua verità ammettendo di aver scritto una lettera alla vittima per riavere il suo terreno e negando di essersi servito di terze persone per fare arrivare il messaggio che comunque era solo la rivendicazione di una pretesa legittima. “Negli ultimi anni vengo a sapere che stavano vendendo il terreno.” – racconta l’ex latitante – “E allora che cosa ho fatto, l’ho contattata, con una lettera, e gliel’ho firmata, non ho detto pseudonimi, firmato con Matteo Messina Denaro, perché io credevo di essere nella ragione dei fatti”.
Infine un’ampia parte dell’interrogatorio riguarda i rapporti del padrino con i boss corleonesi che Messina Denaro nega di aver mai visto e la vicenda del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito sequestrato e sciolto nell’acido dopo oltre 700 giorni di prigionia. Il capomafia avrebbe smentito qualunque suo coinvolgimento nella tragica storia confutando le accuse del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca che a suo dire “non ha mai incontrato”.
La madre di Giuseppe, Francesca Castellese, denunciò la scomparsa del figlio il 14 dicembre 1993. In serata fu recapitato un nuovo messaggio a casa del nonno, omonimo, Giuseppe Di Matteo, con scritto “Il ragazzo ce l’abbiamo noi, non andare ai carabinieri se tieni alla pelle di tuo nipote” successivamente al nonno fu fatta vedere una foto del ragazzo e gli venne comunicato: “Devi andare da tuo figlio e farci sapere che, se vuole salvare il bambino, deve ritirare le accuse fatte a quei personaggi, deve finire di fare tragedie”.
© Riproduzione riservata