Mi chiamo Yasmine, ho 31 anni, abito a Parigi, qui ho studiato e mi sono diplomata, ed oggi nel 2044 ho una laurea in medicina. Ho deciso a 11 anni di diventare medico, di salvare, se posso, gli altri, come hanno fatto con me.

Quando ero bambina ho trascorso dei giorni, naufraga, abbrancata ad una camera d’aria nel Canale di Sicilia, al largo di Lampedusa. Eravamo in 45 in una barca di metallo, partiti da Sfax, in Tunisia. Ci avevamo messo dei mesi a raggiungere la costa sul mediterraneo. Io e mio fratello provenivamo dalla Sierra Leone, uno Stato, la mia patria di origine, affacciato su un altro mare, più grande, ma con meno morti in acqua. La barca, un natante di metallo molto piccolo, era strapiena, eravamo 45 in tutto. La notte dell’otto dicembre del 2024 la barca si è rovesciata, le onde erano alte tre volte me. Avevo un giubbotto salvagente, e mi attaccai ad una camera d’aria che trovai in acqua. Gridavo per trovare mio fratello, ma era notte, una notte buia e fredda, come l’acqua che ti entrava nelle ossa.

Non gridavo solo io, gridavano in tanti, poi il mare a poco a poco, onda dopo onda, ci ha separati. Mio fratello non l’ho più visto, piangevo e urlavo, perché qualcuno mi sentisse, e mi venisse a salvare. Avevo 11 anni, ed ero una bambina. Dopo giorni, di notte, da allora la notte mi ha sempre dato sensazioni strane, una barca con degli uomini a bordo, gente bianca, occidentali, mi hanno trovata, qualcuno finalmente ha sentito le mie grida. Erano in mare perché avevano saputo di un’altra barca dispersa, ma hanno trovato me. Non ce la facevo più, ero stanca, avevo solo 11 anni, da sola, in quel mare scuro. Mi hanno portato in un’isola, ho scoperto poi che si chiamava Lampedusa. Lì dei medici mi hanno visitato, erano vestiti di rosso, ed avevano una croce bianca. Si sono presi cura di me, io non li conoscevo, ma loro sono stati gentili. Gli ho detto che mi chiamavo Yasmine, e che mio fratello si era perso, disperso in mare, assieme ad altri 43. Esseri umani come me.

Ci sono tornata a Lampedusa, l’anno scorso, con il mio compagno Simon, gliela volevo fare vedere quest’isola. Perché lì, a Lampedusa siamo in Europa, oggi la mia patria, ma il vento, l’aria, le piante, come la “guitgia” il giglio di mare, perfino il cibo, sa di Africa. La terra da dove provengo, da dove sono partita 20 anni fa. Il campo dei profughi non c’è più, nessuno più rischia di morire sul canale. Oggi si viaggia, per chi vuole, in nave o in aereo, nessuno più rischia di morire in quelle trappole in mezzo al mare. Ne sono morti tanti, in quel mare tra Africa e Sicilia, la prima frontiera dell’Europa, ma proprio tanti, ma io no. Io mi chiamo Yasmine, e mi sono salvata. Mio fratello no, ci penso sempre, e prego per lui.