Si apre uno spiraglio per Mimmo Lucano. L’ex sindaco di Riace, condannato nel settembre 2021 a 13 anni e due mesi nel processo contro il suo sistema di accoglienza di migranti, un ‘modello di riferimento’ anche all’estero che per il tribunale di Locri era invece una associazione criminale, può sperare in una sentenza ribaltata in Appello.

Ne sono convinti gli avvocati di Lucano, l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, grazie in particolare ad una novità dal peso specifico non indifferente: quattro intercettazioni trascritte male, una totalmente mancante, oltre ad un documento che avrebbe smentito un’ipotesi di peculato e che per il Tribunale di Locri non era stato allegato dalla difesa e che invece era lì, come dimostrato dagli atti depositati alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, come riferisce oggi Il Dubbio.

Il collegio presieduto da Giancarlo Bianchi ha disposto dunque la riapertura dell’istruttoria dibattimentale col parere favorevole anche dei sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari: nel fascicolo del processo è dunque entrata la perizia del consulente Antonio Milicia, che pone in evidenza importanti differenze con quanto trascritto dal perito di primo grado.

La prova regina che secondo Pisapia a Daqua “può cambiare le sorti del processo” è una intercettazione ambientale che cattura un colloquio tra il sindaco Lucano e un funzionario della prefettura, Salvatore Del Giglio, poi divenuto teste dell’accusa nel corso del processo. Intercettazione del 20 luglio 2017, quando ancora non era stato notificato l’avviso di garanzia all’ex sindaco, neanche trascritta e dunque non valutata dal tribunale di Locri

In quel colloquio Del Giglio sembra quasi avvertire che il ‘vento’ a Roma sul tema dell’immigrazione sta cambiando. Nel confronto il funzionario della prefettura, mandato a Riace per redigere una delle tante relazioni sulla gestione dei migranti, dice che “è improbabile, che un domani, così come (inc.) se non è già arrivata da voi, verranno la Guardia di Finanza”. Quindi ammette che “l’amministrazione dello Stato non vuole il racconto della realtà di Riace. Vuole… perché oggi la mission dello Stato… sapete, lo Stato è composto… come qua da voi. C’è l’opposizione”.

Quindi Del Giglio riferisce le parole che avrebbe pronunciato un altro funzionario prefettizio, Salvatore Gullì: “Io ho dovuto scrivere perché fa schifo il sistema nazionale dell’accoglienza – gli avrebbe riferito – abbiamo utilizzato questa cosa di Riace per… per dire queste cose”. “Perché deve pagare Riace?”, si chiede Lucano. La risposta di Del Giglio è chiara: “Siccome io ritengo, dal suo punto di vista della sua relazione… che comunque Riace, al di là delle disfunzioni eventuali o delle anomalie amministrative, quindi della burocrazia, abbia realizzato una realtà evidentemente ancora unica sul territorio non solo nazionale, dovete difenderla. Con qualsiasi conseguenza”.

Parole che ovviamente gettano ombre sul processo e sulla stessa relazione della Prefettura sul ‘sistema Riace’, poi finita agli atti dell’inchiesta. Processo che punta il dito contro Lucano, condannato a oltre 13 anni di reclusione, che evidenzierebbe come l’ex sindaco di Riace avrebbe messo in piedi una macchina dell’accoglienza solo per garantirsi una futura esistenza comoda.

Ora l’appuntamento col processo d’Appello è al prossimo 26 ottobre, ma le speranza di ribaltare la sentenza di primo grado sono ovviamente diverse. Nel ricorso in appello, Daqua e Pisapia hanno evidenziato che l’obiettivo di Lucano “era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso”.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia