I milanesi vorrebbero un “salva Milano” sotto l’albero. Ma non quello che sollecita il sindaco, che forse salverà anche qualcuno, ma non di certo la città. Vorrebbero un “salva Milano” che cancelli l’ingiustizia del lavoro povero, perché, per usare le parole dell’arcivescovo Mario Delpini, “la gente è stanca di un lavoro che non basta per vivere”.

Del resto la città, nella classifica elaborata annualmente dal Sole24ore, è al 74esimo posto per famiglie con reddito basso e al 107esimo per disuguaglianza del reddito. Di come intervenire se ne è parlato molto nel dibattito pubblico e anche a Palazzo Marino, ma quel giorno il sindaco Sala ha disertato l’incontro per partecipare a una kermesse in una banca. Giusto per non lasciare dubbi sulle priorità politiche e di agenda. A fare gli onori di casa il consigliere comunale Daniele Nahum, quello che aveva proposto un salario decente per dipendenti del comune e bandi pubblici. Un altro “salva Milano” rimasto nel cassetto.

Resta in campo la proposta di adeguare i contratti almeno alla soglia di povertà, che meriterebbe una risposta da parte dell’amministrazione, fosse anche una diversa proposta volta a risolvere il problema. Invece si prova a dare una risposta al problema dei salari affrontando la questione della casa, come se una emergenza scacciasse l’altra. E il comune vara un piano casa, sarà un provvedimento “salva Milano”? La classifica attribuisce il 101esimo posto per canoni medi di locazione e per mensilità di stipendio per comprare casa, ormai si affittano stanze e solai al prezzo di appartamenti. Sembra difficile trovare un’espressione più appropriata di “troppo poco, troppo tardi”. E per vederne gli effetti, va da sé, toccherà attendere anni. Crollo in classifica alla voce ricchezza e consumi, in pochi anni si è passati dal primato del 2021 al 54esimo posto.

Probabilmente sperano in un “salva Milano” le coppie che pensano di fare un figlio. Complici gli stipendi inadeguati e la carenza di strutture per l’infanzia, siamo al 104esimo posto per età media al parto. E 47esimi per qualità della vita dei bambini. Si può obiettare che la giunta di una grande metropoli ha un numero limitato di strumenti per far fronte ai problemi. Vero, del resto però Milano si è sempre “salvata” da sola. Anche durante gli anni del conflitto violento, del terrorismo. Allora, ricordava il sindaco socialista Carlo Tognoli, si usarono come strumenti “urbanistica e cultura”. Leve che oggi appaiono in difficoltà: la prima è appesa ai voti della Lega, la seconda non registra dati incoraggianti. Due voci su tutte: 101esimo posto per spesa del Comune in cultura e 57esimo per librerie.

A proposito di sindaci socialisti, la città si è raccolta in una giornata di lutto per l’ultimo saluto a Paolo Pillitteri. Fu sindaco di una città che aveva ripreso a correre dopo anni violenti, che diventava ricca, con un periodo di crescita lungo, paragonabile a quello che ha attraversato Milano dopo l’Expo 2015. Ma, a differenza di oggi, la città diventava ricca di una ricchezza diffusa, capace di generare opportunità e di ridurre la forbice sociale. La differenza la fa la politica. Ora è tempo di dare risposte, dopo 13 anni di centrosinistra e 8 di questa amministrazione, non c’è un “quarto tempo” per affrontare con decisione i problemi. Non è più stagione, se mai lo è stata, per rimandare, promettere di lavorarci, aprire infinite discussioni.

Ne va del presente e del futuro della città. E a proposito di futuro, non sorprende vedere Beppe Sala particolarmente attivo in vista di un possibile ruolo nazionale. Sorprende il ruolo ipotizzato: quello di federatore dei riformisti. A Milano il riformismo socialista, unito a una radicata sensibilità sociale cristiana e laica, aveva costruito un laboratorio dove la lotta alla povertà e l’inclusione nelle opportunità non erano solo dichiarazioni di principio, ma la traiettoria del governo della città. Una città dove l’ascensore sociale usciva dalle metafore per entrare nella vita dei cittadini. Non è più così. E quello che manca è proprio il riformismo, la capacità di tenere insieme una visione strategica della città e quel pragmatismo che consente di intervenire sui problemi.

Tomaso Greco

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