«Apprezzo Enrico Letta per le sue capacità e per la sua onestà intellettuale, beni assai rari oggi da trovare sul mercato della politica, ma la sua è una impresa che definire difficile è un eufemismo: rivoluzionare, perché di questo si tratta, un partito, il Pd, che oggi è una confederazione di fazioni. E in un partito del genere le donne, al di là delle loro capacità e storia, sono condannate ad essere dei Placeholders (segnaposti)». A sostenerlo è Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense. Professoressa di scienze politiche alla prestigiosa Columbia University di New York.

Professoressa Urbinati, il Partito democratico ha due nuovi capigruppo donne al Senato, Simona Malpezzi, e alla Camera, Debora Serracchiani. Il neo segretario Enrico Letta ha affermato che il Pd attuale è “incrostato di maschilismo”. È d’accordo con lui?
Io non rifiuto la parola “maschilista”, ma va spiegata. In questo caso, maschilista nel senso di correntista? In un partito in cui le donne fanno gruppo, ed è importante perché è quello che esprime il loro protagonismo politico, le correnti non dominano. Se dominano le correnti, le donne si sparpagliano e vanno a finire in quell’imbuto correntizio. In questa dinamica, le donne perdono più potere, non l’acquistano, mentre acquistano più potere quelli che già lo detengono, cioè i maschi. In questo senso, le donne vengono “esibite” piuttosto che “valorizzate”. Se noi spieghiamo il maschilismo in questo modo, vale a dire con l’uso politico della fazione, allora lo capiamo meglio. In un partito di fazioni le donne sono deboli perché non possono fare gruppo. E a quel punto rendono più facile il lavoro di coloro che già sono operativi nelle fazioni. Dentro questo schema, le donne finiscono per svolgere la funzione di “portatrici d’acqua” o comunque non di attrici dirette ma di placeholder, di segnaposto. In un partito dominato dalle fazioni, le donne funzionano da “segnaposto”.

Un giudizio molto duro il suo…
Mi duole dirlo, ma è così. Ed è un meccanismo che stritola anche le donne, e ce ne sono tante nel Pd, capaci, generose. Mi lasci aggiungere una cosa a cui credo molto: la condizione delle donne è indicativa dello stato di salute del sistema socio-politico. Se la democrazia sta male, questo è uno dei sintomi. Per questo dovremmo cercare di capire perché la presenza delle donne è segno di una maggiore salute nel sistema, perché è utile e positivo. E questo vale anche per i partiti, e in questo caso, del Pd. Pluralità di genere vuol dire pluralità di prospettive, diversità cognitiva, che è anche diversità di sensazioni, esperienze e conoscenze diverse a seconda della propria esperienza. Per questo avere più donne è efficace e positivo, perché spinge a una diversità di visioni. Ma perché ciò possa dispiegarsi appieno, le donne devono fare gruppo, liberandosi dall’abbraccio mortale delle fazioni. Capisco i problemi che Letta ha e le montagne che deve scalare in un siffatto partito. Se lui incomincia a fare una lotta diretta, frontale, alle fazioni, se lo mangiano. È triturato, è finito. Quindi incomincia dalla “periferia” per arrivare al “centro”. Comincia dalle donne perché è una “periferia” che può smuovere di molto queste acque stagnanti. Periferia, non perché le donne in quanto tali siano “periferiche”, anche se un po’ lo sono nel Partito democratico, ma comincia non dal nucleo problematico al quale arrivare…

Per arrivare dove?
L’unica soluzione, a mio avviso, è riscrivere lo Statuto.

Riscriverlo, su quali punti fondamentali?
Innanzitutto va detto che quello attuale è uno Statuto che non ha iscritti al centro ma elettori al centro. È un partito tutto focalizzato sulla competizione personalistica di chi riesce a racimolare molti voti. I militanti non contano un accidente. E se non contano un accidente i militanti, le fazioni sono veramente gruppi di potere funzionali esclusivamente alla conquista di voti. Occorre partire da qui. Il partito deve avere dei confini, deve avere degli iscritti. A fondamento di un partito davvero rinnovato, deve esserci l’iscritto non l’elettore. Il secondo punto fondamentale, è reintrodurre finalmente il Congresso. Se reintroduci il Congresso, allora tu devi introdurre i congressi locali, in altri termini, devi ridare vita all’organizzazione partitica. Non si fa il Congresso con i capi bastone. Se vuoi recuperare il partito e farlo rinascere nella società, devi fare queste cose. Il partito laburista queste cose ce le ha…

Tenendo presente tutte queste criticità, le chiedo un po’ brutalmente: ma il Pd è un partito riformabile o non è meglio pensare e lavorare per una nuova casa dei riformisti a sinistra?
Questo è un problema enorme. Perché noi in Italia siamo abituati che, quando le cose non ci piacciono, buttiamo tutto all’aria e facciamo altro. E così andiamo avanti a fare tante “matriosche”. Sembra che tutto quel che creiamo debba essere l’espressione perfetta ed esatta di quel che vogliamo. Ma non è così. Io non lo so se sia una buona idea buttarlo all’aria, ma di certo questo Pd deve essere cambiato, scosso, da cima a fondo. Non bastano maquillage, magari “rosa”. Io sono d’accordo con Antonio Floridia che ha scritto un libro molto bello che si intitola Il partito sbagliato. Così com’è oggi, il Pd è un “partito sbagliato”. Se lo si riorganizza, bene, altrimenti finirà per rompersi, per implodere. Questi “cocci” stanno insieme perché c’è una convenienza reciproca. Ma lei crede davvero che una piccola fazione riesca ad avere dei voti se va da sola? Certo che no. E dunque ecco cosa è oggi il Pd a cui Enrico Letta, con coraggio, vuole mettere mano: una specie di confederazione di fazioni. E a chi ama il partito questo non piace, perché non è altro che un modo per creare piccole gerarchie locali o grandi gerarchie nazionali. Un partito siffatto è deleterio dal punto di vista democratico.

Quale è la vera scommessa di Letta?
Letta si è appena insediato e non so su chi possa contare davvero all’interno, non so chi lo sostenga con convinzione. Lo stanno “annusando”, si stanno riposizionando, e, al di là di un unanimismo di facciata, i difensori dello status quo lo guardano in cagnesco. Appena lui fa un movimento, se lo sbranano. La scommessa di Letta è quella di trovare un appoggio trasversale all’interno, in modo che possa fare un Congresso di verità, e riscrivere lo Statuto, essere da questo punto di vista un padre fondatore di un Pd riformato dalle radici. Quando lo presentai in un mio articolo, descrissi Enrico Letta come un “costituente” più che un segretario di partito, per il discorso che fece all’assemblea nazionale. O fa questo, bene, o il Pd resterà un partito dilaniato e, nel suo profilo programmatico, un partito centrista.

Eppure in Italia abbiamo gran bisogno di sinistra, di una sinistra forte.
In Italia si ha paura della parola “sinistra”. E questo mentre l’America va a sinistra. Dipende da quello che verrà fuori nei prossimi mesi. Se Letta riuscirà a far qualcosa, è probabile che riescano anche a ridisegnare questo partito. Diversamente, è destinato ad essere una forza di centro, con delle ali più a destra che a sinistra, perché a sinistra c’è uno sparpagliamento di volontà e di personalità che fa impressione. Personalmente, spero che Letta trovi la forza, dentro il partito e anche fuori, perché LeU, Articolo I, Sinistra Italiana, questi frammenti esterni potrebbero anche guardare con interesse a un partito rifondato, cancellando il Lingotto e quello Statuto, per ricominciare. Il vero banco di prova per Letta, non è la nomina delle capogruppo, ma le future amministrative. E qui la lotta sarà durissima. Penso alla mia regione, l’Emilia Romagna. Qui il partito dei militanti non c’è più. C’è il partito dei sindaci che hanno già nominato i loro successori. Sono una sorta di monarchie locali che per mantenere il potere, dopo due mandati, si espongono verso un candidato, lo “incoronano”, e così mantengono il potere per interposta persona. Questo è tremendo. È un establishment che perpetua se stesso. E se i capi bastone l’avranno vinta, non c’è futuro per il “nuovo” Pd evocato da Letta. Le fazioni sono il “maschilismo” da sconfiggere.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.