Ma davvero sono diventati tutti democristiani? Letta, ma anche Conte e perfino un po’ Giorgetti. Democristiani loro, democristiano il loro retroterra e assai democristiana la trama dei loro rapporti. Un vero e proprio “metapartito”. Così almeno fa capire Michele Prospero sul Riformista di ieri. Il suo racconto è suggestivo, ma mi permetto di obiettare. Questa idea che ricorre tanto spesso del partito-spugna, capace di assorbire e mescolare gli umori più diversi, ma al fondo privo di una sua identità, duttile fino all’estremo, finisce infatti per saltare a piè pari molta della controversa storia del dopoguerra. La Dc aveva le sue furbizie, s’intende. E affrontava la battaglia politica concedendo il giusto – e a volte anche più del giusto – alle esigenze della mediazione, della manovra, dello scambio. Non aveva rigidità ideologiche, forse. Ma su alcuni, pochi, punti sapeva essere fin troppo rigorosa.

Soprattutto, la Dc aveva piantato alcuni paletti pressoché insuperabili intorno a sé. Non si poteva trafficare con tutti. Agli eredi delle grandi ideologie del tempo si doveva opporre una barriera assai difficilmente valicabile. Ma soprattutto, verso il populismo c’era un’ostilità drammatica e profonda, che non conobbe mai neppure le eccezioni che forse la tattica avrebbe potuto consigliare. Tant’è che quando si affermò il movimento dell’Uomo Qualunque (il populismo dei tardi anni quaranta), De Gasperi si diede a contrastarlo con un’intransigenza assoluta. Togliatti civettò con Guglielmo Giannini, i democristiani no. Nessuno di loro. C’era in quella classe dirigente la consapevolezza che quando ci si divideva sull’idea di “popolo” non era più ammessa nessuna indulgenza.

A quanti riducevano quel popolo alla massa, alla folla, a un insieme indistinto, privo di ogni articolazione, lasciato in balia degli imbonitori del momento, non si poteva far altro che opporre un’altra idea di popolo: quella fondata sui legami della rappresentanza. Verso il populismo la Dc tenne sempre un punto fermo. I nostri padri erano consapevoli che se si fosse imboccata quella strada si sarebbe messo in pericolo il carattere di una democrazia che per loro doveva fondarsi sulla mediazione. E dunque organizzarsi per corpi intermedi. Ma soprattutto esercitare tutte quelle virtù di ascolto, pazienza, tessitura che ora la nostra sgangherata “modernità” politica ha largamente disperso. Tutto questo per dire che no, di questi tempi non soffia più lo spirito democristiano. Forse tornerà a soffiare quando il vento del populismo dovrà ammainare le sue bandiere. Magari dopo aver dato una mano, anche noi, a farle ammainare.