Le storie
Nessuno tocchi Caino e Il Riformista insieme per raccontare la ferocia del carcere e delle pene
Ringraziamo Il Riformista per aver deciso di ospitare ogni settimana una pagina di Nessuno tocchi Caino in cui pubblicare notizie e raccontare storie di regimi inquisitori e mortiferi – giudiziari, penali e penitenziari – che sono fuori dal tempo e fuori dal mondo, ma che pure sono ancora in voga nel nostro tempo e nel nostro mondo. Un tempo e un mondo in cui vigono ancora la pena di morte, la morte per pena, la pena fino alla morte. Dove esistono ancora edifici costruiti per la pena mentale e corporale, votati alla violenza, alla sofferenza, al dolore. Tant’è che continuiamo – forse senza rendercene conto – a chiamare tali strutture “luoghi di pena”, “istituti penitenziari”.
Perché tali sono: luoghi dediti a pratiche inumane, crudeli e degradanti, strutturalmente adibiti per la coercizione fisica e morale al fine di estorcere confessioni o dichiarazioni o allo scopo puro e semplice di punire. Pensate un po’, nel nostro Paese non esiste solo il “carcere morbido”, è di moda anche il “carcere duro”, il 41 bis, quel regime di “tortura democratica” pieno e incontrollato, sempre più chiuso e ottuso, che è la quintessenza del carcere, dell’isolamento, della privazione della libertà. Un giorno, ci volgeremo indietro e diremo a noi stessi: come abbiamo potuto fare? Siamo arrivati al punto di giudicare, punire e chiudere una persona in una cella!
A tenere un individuo fuori dal tempo e fuori dal mondo. A volte senza pane e acqua, a volte a pane e acqua, ma sempre interdetto all’uso della parola e, come è ancora prescritto nelle sezioni del 41 bis, anche all’usanza del dire a quello della cella di fronte “buon appetito”, alla buona educazione del darsi il “buongiorno” o la “buonanotte”. Un giorno, che noi di Nessuno tocchi Caino faremo in modo che non sia lontano, perché siamo anche Spes contra Spem e speriamo oltre ogni ragionevole speranza, ci volgeremo indietro e guarderemo al carcere – sia nella sua versione “dura” sia nella sua versione “morbida” – come si guarda a un reperto archeologico della storia, a una rovina dell’umanità, testimonianza dell’odio, della violenza e del dolore che hanno segnato il nostro passato.
© Riproduzione riservata