Ping pong diplomatico su un'invasione annunciata
Non c’è bisogno della guerra tra Russia e Ucraina, Putin l’ha già vinta: Kiev non entrerà nella Nato
Se la vera vittoria è quella ottenuta senza combattere, Putin la sua annunciatissima guerra in Ucraina l’ha già vinta.
Ore 15,15 di ieri (ora italiana) il cancelliere tedesco Scholz dice: «L’ingresso di Kiev nella Nato non è in agenda».
La sua uscita fa sembrare accettata la prima richiesta ribadita da Mosca un paio d’ore prima: l’Ucraina rinunci ad entrare nella Nato.
La seconda condizione di Mosca per non invadere l’Ucraina è che la Alleanza atlantica non dispieghi armi strategiche nelle repubbliche ex sovietiche, condizione addolcita rispetto a quella posta nell’ultimatum di fine anno in cui chiedeva una sostanziale smobilitazione della Nato da tutti i Paesi dell’ex Urss, con il ritiro completo di truppe e armamenti atlantici da tutti i Paesi entrati nell’Alleanza dopo il 1997. Ha chiesto cioè di riportare i rapporti di forza militari sullo scacchiere russo europeo alla situazione precedente al 1989. Il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov, parlava ieri sera di «chances d’accordo», seguito dall’annuncio da parte del Cremlino del rallentamento delle manovre militari. Gli esperti militari americani hanno datato per domani l’inizio della guerra, con dovizia di dettagli. Prevedono bombardamenti aeronavali da sud ovest, preceduti da insurrezioni nei territori ucraini filorussi. Danno i tempi anche per la resa di Kiev: crollerà tra massimo quindici giorni.
Se ciò accadesse – e potrebbe accadere anche solo per un ordine disobbedito o un incidente che inneschi l’offensiva – Putin rischierebbe però di far finire a Kiev il suo regime. Molto più conveniente per lui avviare la spartizione del mondo in zone di influenza, secondo la nuova Yalta per cui smania, cominciando pacificamente dal primo incasso: riportare l’Ucraina prima in uno stato di neutralità e poi nell’area di gravitazione russa bloccando il suo ingresso nella Nato, precondizione necessaria alla costruzione di un nuovo ordine mondiale retrodatato a prima del 1991, come se il collasso dell’impero sovietico non fosse mai avvenuto. Vecchia grande ossessione di Vladimir Putin, perseguitato dall’idea che la sua Russia sia un gigante debole, facilmente aggredibile, senza protezioni geografiche ai suoi confini, facile da invadere, bisognosa di Stati cuscinetto. E quindi con l’esigenza di non avere le armi Nato piazzate sull’uscio di casa.
Le richieste russe di ricacciare l’Alleanza atlantica lontana dai confini russi rispolverano sempre il tradimento delle promesse americane che avrebbe patito Mosca dopo il crollo del Muro. La promessa che la Nato mai e poi mai si sarebbe allargata ad est, garanzia che non risulta da nessun documento e che Mosca sostiene invece fosse stata data.
Il conflitto tra Russa e Ucraina è continuato in modo latente dopo il 2014, quando a Kiev fu travolto il presidente filorusso. Mosca mandò il suo esercitò in Ucraina e si prese la Crimea. Da allora il Cremlino continua ad alimentare la voglia di insurrezione contro Kiev dei separatisti dell’est ucraino, anche se una pace formalmente è stata firmata nel 2015. Nelle ultimi settimane, mentre il governo ucraino pagava un primo prezzo alla guerra che ancora non c’è perché gli annunci americani di un imminente attacco militare dei russi hanno innescato un fuggi fuggi degli investitori esteri, intorno a Kiev si sono create alleanze a geometria variabile.
Un ruolo di rilievo accanto a Kiev spetta ad Ankara: all’invio di droni turchi già usati dall’esercito ucraino in Donbass, Recep Tayyip Erdogan, che si è già proposto come mediatore con Mosca, ha fatto seguire un accordo commerciale e una proposta di difesa bilaterale. Il presidente turco usa accortezze verso l’Ucraina anche perché la Crimea annessa dai russi nel 2014 è abitata dalla minoranza turcofona dei tartari che denunciano la repressione delle autorità russe. Erdogan non può permettersi però di tirare troppo la corda con Mosca perché con i russi combatte anche in Siria. Putin è volato all’apertura delle Olimpiadi di Pechino per incassare una dichiarazione congiunta con Xi Jinping che chiede di fermare l’allargamento della Nato a est. Putin ha ricambiato promettendo di non riconoscere Taiwan. L’alleanza è stretta, ma i due presidenti si sono tenuti le mani libere si dossier bollenti per entrambi. Xi Jinping non ha proprio citato la Crimea, mai riconosciuta dalla Cina come russa. Putin non s’è impegnato a non smettere di vendere armi al Vietnam e all’India.
Sembra che Xi non abbia nessuna intenzione di litigare con l’Occidente per i sogni imperiali di Putin, anche se non perde l’occasione di tentare di intimorire Biden con il fantasma di un fronte antiamericano russo-cinese.
Da quando è stata annunciato il rallentamento delle manovre militari l’obiettivo della diplomazia internazionale è trovare la formula per non far sembrare una frenata russa, sempre che ci sia e non sia seguita da un accelerazione, una sconfitta di Putin. Lo zar non ha solo bisogno di vincere, ha anche bisogno di potersi presentare come trionfatore.
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