Venerdì scorso le ministre di Giustizia e Coesione sociale, Marta Cartabia e Mara Carfagna, hanno firmato un decreto interministeriale che istituisce una Commissione per la giustizia nel Sud. Compito della commissione, i cui lavori termineranno entro il 30 settembre, sarà innanzitutto un’analisi dell’organizzazione del settore nelle aree del Mezzogiorno italiano per promuovere efficacia ed efficienza della risposta giudiziaria civile e penale (così il preambolo). Questa commissione dovrà perseguire quattro obiettivi: identificare best practices elaborate da uffici giudiziari “di altri territori” onde verificarne la suscettibilità d’importazione al Sud; proporre come migliorare le condizioni di lavoro del comparto giustizia in tutte le sue articolazioni; indicare la strada per superare le carenze dell’edilizia giudiziaria; valutare in che modo l’intelligenza artificiale possa supportare il giudice nell’esercizio delle sue funzioni.
A parte la stranezza (un errore materiale?) dell’articolo 4, che confina le proposte finali alla sola giustizia tributaria in distonia col tenore del preambolo ora riassunto, il decreto presta il fianco a qualche osservazione, soprattutto critica. Prima delle dolenti note, però, vorrei dire che l’idea di una Commissione specifica per il Sud non è di per sé sbagliata. Il Mezzogiorno d’Italia ha le sue specificità critiche strutturali, in parte anche nel settore della giustizia. Ancora, una commissione che lavori alacremente per tre mesi, sempre in linea astratta, potrebbe mettere sul tavolo delle ministre alcune fattive, ragionevoli proposte. Esaurite le note in maggiore, partono ora quelle in minore (ma cercherò di non arrivare a toni funerari). Il tema davvero dolente è: perché in questo Paese abbiamo sempre bisogno di iniziare daccapo, come se nessun dato, nessuna analisi, nessuna conoscenza fossero già stati raccolti e sviluppati? Il Csm e l’Anm hanno lavorato negli anni su molti degli aspetti delegati alla Commissione. Che è stato di quel lavoro?
Non solo: il perimetro conoscitivo di questa Commissione è totalmente asfittico, perché bada a dettagli di contorno del problema dell’efficacia della risposta giudiziaria. Si tace sul monstrum tutto italiano della distribuzione del lavoro in base a piante organiche semplicemente inique. E si tace sul dato, politico e socio-economico, delle ragioni dell’insorgenza della domanda di giustizia e della formazione dell’arretrato. Secondo punctum dolens: il campo d’azione della Commissione mi pare piuttosto eterogeneo, perché va dalle best practices all’edilizia, dalle condizioni di lavoro all’intelligenza artificiale (!). Certo, il minimo comun denominatore è la Dea Efficienza, ma, inascoltati, migliaia di magistrati pensano che l’efficienza è conseguenza di una vera analisi dei problemi della giustizia, con un vero percorso di risoluzione degli stessi. Non è l’efficienza che li risolverà, se non in parte (probabilmente minima). Per carità, costruiamo nuove aule, assumiamo altri 5mila cancellieri e digitalizziamo con entusiasmo e ottimismo! Moltissimi problemi strutturali – deve essere però chiaro – resteranno tali, forse solo scalfiti di striscio. Terza nota in minore: compare qui l’intelligenza artificiale che, nel settore giustizia, non è proprio un dettaglio organizzativo, ma può apportare una rivisitazione di schemi conoscitivi fondanti il diritto per come l’abbiamo sinora conosciuto. E perché questa cosa così rilevante dovrebbe riguardare solo il Sud? Perché poi compare quasi in segreto in un decreto interministeriale? E poi, se la consolle del magistrato si rivela ogni giorno un sistema farraginoso, lentissimo, inefficiente, perché il Ministero non mette mano a questo sistema sostanzialmente fallimentare invece di evocare avveniristiche forme di intelligenza artificiale?
Infine (questo è quasi un rintocco da messa da requiem): il metodo che sottende questo decreto lascia a dir poco perplessi. I temi sollevati qui brevemente dovrebbero essere di competenza (anche) dell’Anm. Ma pure il Csm dovrebbe subito intervenire, a mio avviso, di fronte al tenore di questo decreto. Vedremo se ci saranno reazioni. Ma intanto nessun coinvolgimento c’è stato. Segno, forse, che la nostra rappresentanza è oggi annullata di fatto e deve cedere il passo a commissioni salvifiche? Ancora sul metodo: andrebbe chiesto come siano stati prescelti i componenti di questa commissione (sicuramente i magistrati che sono stati chiamati a farne parte). Ma il metodo ha a che fare anche con quella strana idea per cui le best practices proverrebbero solo dal Nord o dal Centro e bisognerebbe però capire se importarle negli Stati del Sud… Forse i tribunali del Centro e del Nord Italia sono più attrezzati materialmente e riescono a partorire più prassi virtuose. Lo scopriremo leggendo i risultati della Commissione. Resta il fatto che il metodo generale sembra improntato a un efficientismo burocratico tanto più inappropriato nel drammatico momento storico che la magistratura sta affrontando (o non affrontando).
Alla Commissione auguro vivamente di non scoprire l’acqua calda. Ma ancor più vivamente auguro massima onestà intellettuale: la quale oggi esige che il mantra dell’efficienza – sradicata da ogni discorso di contesto più ampio – venga combattuto addirittura con ferocia dalla magistratura e dall’avvocatura desiderose di far emergere le falle sistemiche che si protraggono da decenni senza nessuna risposta politica davvero credibile. Se la Commissione arriverà anche solo a delineare un percorso fattivo almeno di ridisegno delle piante organiche di Tribunali e Procure in tutta Italia, meriterà una menzione gloriosa nei secoli a venire. Ma, forse, agirebbe… ultra petita. Et ultra desiderata.