La Cassazione ha ridotto la condanna per omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi nei confronti dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro: la pena passa da 13 a 12 anni di reclusione. Nuovo processo in Appello invece per i due carabinieri accusati di falso nell’ambito della morte del geometra romano di 31 anni. Processo bis dunque per Roberto Mandolini, che era stato condannato a 4 anni di reclusione e per Francesco Tedesco, condannato a 2 anni e mezzo di carcere.

A oltre 12 anni dall’omicidio di Stefano Cucchi, arriva la sentenza della Cassazione per i quattro carabinieri imputati nel processo nato dall’inchiesta bis che ha fatto luce sul violento pestaggio subito dal geometra la notte tra il 15 e 16 ottobre 2009. Percosse che l’hanno portato al decesso, avvenuto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini di Roma. Dopo una camera di consiglio di oltre sei ore, i giudici della Quinta Sezione Penale della Suprema Corte hanno ridotto di un anno la condanna comminata in appello per i due autori del pestaggio.

In aula presente la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, arrivata questa mattina accompagnata dall’avvocato Fabio Anselmo. “Questa vicenda ha restituito speranza e fiducia a tante persone, speriamo che questa fiducia non venga delusa” aveva detto entrando al ‘Palazzaccio’. “Dopo 15 gradi di giudizio e più di 150 udienze è una vicenda estenuante, siamo stremati ma siamo arrivati sin qui e abbiamo fiducia nella verità” ha aggiunto l’avvocato Anselmo.

“A questo punto possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano. Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di loro che ce l’hanno portato via”. Lo ha detto, così come riporta l’agenzi Dire, Ilaria Cucchi subito dopo la lettura della sentenza da parte dei giudici della Corte di Cassazione. “Devo ringraziare tante persone, il mio pensiero in questo momento va ai miei genitori che di tutto questo si sono ammalati e non possono essere con noi, va ai miei avvocati Fabio Anselmo e Stefano Maccioni e un grande grazie va anche al dottor Giovanni Musarò che ci ha portato fin qui“.

In una nota i carabinieri commentano: “La sentenza emessa oggi dalla Corte di Cassazione sancisce le responsabilità di due dei quattro carabinieri coinvolti, a diverso titolo, nella vicenda della drammatica morte di Stefano Cucchi. Una sentenza che ci addolora, perché i comportamenti accertati contraddicono i valori e i principi ai quali chi veste la nostra uniforme deve, sempre e comunque, ispirare il proprio agire. Siamo vicini alla famiglia Cucchi, cui condividiamo il dolore e ai quali chiediamo di accogliere la nostra profonda sofferenza e il nostro rammarico. Ora che la giustizia ha definitamente terminato il suo corso, saranno sollecitamente conclusi, con il massimo rigore, i coerenti procedimenti disciplinari e amministrativi a carico dei militari condannati. Lo dobbiamo alla famiglia Cucchi e a tutti i Carabinieri che giornalmente svolgono la loro missione di vicinanza e sostegno ai cittadini”.

In secondo grado Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro erano stati condannati a 13 anni, il maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia, condannato in secondo grado a 4 anni di carcere per aver coperto quanto accaduto. Francesco Tedesco, che, inizialmente imputato per il pestaggio, durante il processo di primo grado denunciò i suoi colleghi diventando un teste chiave dell’accusa, era stato condannato a due anni e mezzo per falso.

Nella sua requisitoria, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Tomaso Epidendio, aveva chiesto la conferma delle condanne a 13 anni di carcere per omicidio preterintenzionale, dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, e la conferma della condanna per falso, a quattro anni, per il maresciallo Roberto Mandolini. Chiesto un nuovo processo “limitatamente al trattamento sanzionatorio” per il carabiniere Francesco Tedesco che denunciò i suoi colleghi divenendo un teste chiave.

Quella di Cucchi è stata “una via crucis notturna, in cui tutti coloro che lo hanno visto sono rimasti impressionati dalle sue condizioni” ha detto Epidendio. “Si è voluto infliggere a Cucchi una severa punizione corporale di straordinaria gravità, per il suo comportamento strafottente. Tutto qui é drammaticamente grave e concettualmente semplice – aggiunge – Eliminiamo le spinte, i pugni e i calci e domandiamoci se ci sarebbe stata la frattura della vertebra e la lesione dei nervi. La risposta è semplice: no”.

Giovedì 7 aprile sentenza di primo grado sui presunti depistaggi: imputati 8 carabinieri

La sentenza della Cassazione arriva a pochi giorni di distanza da quella, prevista per il prossimo 7 aprile, nel processo sui presunti depistaggi seguiti alla morte di Cucchi. Sul banco degli imputati ci sono otto carabinieri, accusati a vario titolo e a seconda delle posizioni di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Per loro il pm Musarò ha chiesto condanne che vanno dai 7 anni a un anno e un mese.

LA STORIA – Cucchi venne arrestato 15 ottobre del 2009 in via Lemonia, nei pressi di in una chiesa che si trova vicino al parco degli Acquedotti, perché sorpreso con 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina. La mattina successiva, nell’udienza del processo per direttissima, il 31enne aveva difficoltà a camminare e parlare e mostrava evidenti ematomi agli occhi e al volto, che non erano presenti la sera prima. Venne rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, ma le sue condizioni di salute peggiorarono rapidamente e, due giorno dopo, 17 ottobre, venne trasportato all’ospedale Fatebenefratelli per essere visitato. Per i medici aveva riportato lesioni ed ecchimosi alle gambe e al viso, frattura della mascella, emorragia alla vescica, lesioni al torace e due fratture alla colonna vertebrale. I medici ne chiesero il ricovero che lui rifiutò insistentemente, tanto da essere rimandato in carcere per poi essere ricoverato di nuovo, presso l’ospedale Sandro Pertini, dove morì il 22 ottobre.

 

Redazione

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