Abbiamo ricevuto questo documento da una fonte che consideriamo assolutamente attendibile. Lo pubblichiamo così come lo abbiamo ricevuto (tranne brevi tagli su accuse troppo specifiche e che non possiamo verificare) perché ci sembra di grandissimo interesse per il lettore.

Gli autori di questo documento assolutamente informale, sono operatori penitenziari di varia estrazione attenti e permanentemente impegnati a seguire con il massimo equilibrio possibile gli avvenimenti del mondo in cui agiscono da anni a salvaguardia della loro dignità e di quella dei loro colleghi. Particolare rilievo e specifica attenzione emergono dagli avvenimenti di recente verificatisi nell’istituto di S. M. Capua Vetere caratterizzati però da una successiva non corretta informazione, magari non voluta ma indotta da fonti discutibili a cui la routine quotidiana di stampa ed i media attingono abitualmente di certo in buona fede. Ma andiamo con ordine.

La frequenza e l’abitudine inveterata a praticare pestaggi più o meno organizzati nel carcere e non solo (vedi caso Cucchi) esiste da sempre ed emerge, purtroppo, solo nei casi più eclatanti. A tal proposito va detto che, a livello centrale, esiste dal 1997 un nucleo di polizia penitenziaria (GOM) addestrato ad intervenire nei casi di gravi disordini negli istituti. Ma spesso, e solo con l’autorizzazione del capo del DAP, tale nucleo viene utilizzato anche in altri casi per così dire minori (trasferimenti di detenuti pericolosi, scorte, ecc. sempre ai fini della sicurezza). Tuttavia l’uso del GOM a volte va oltre i casi di emergenza ed è autorizzato solo per riportare l’ordine e la disciplina negli istituti. In tali casi l’attività della pol.pen. diventa pericolosa e punitiva più del solito sfociando quasi sempre in una mattanza della quale non sempre si ha notizia. Questo fenomeno ha e deve avere una sua ragion d’essere nelle spiegazioni e motivazioni che vanno al di là delle semplici apparenze.

È noto che negli istituti ormai da decenni sono presenti e molto attive, numerose sigle sindacali autonome, tenuto conto che le organizzazioni sindacali storiche da tempo hanno lasciato in buona parte campo libero ad altre politiche, per ragioni che non si possono approfondire in questa sede. Si tratta di organizzazioni (…) che talvolta diffondono notizie false a stampa e media pur di mantenere alto il numero dei loro iscritti e travisando in tutto o in parte la verità dei fatti. Anche molti politici cadono in questo “gioco” con un’esaltazione ipocrita e inconcludente del tipo che “comunque va salvaguardata la dignità del corpo di polizia penitenziaria”. In realtà la vera ragione di tali comportamenti sta nell’omertosa pluriennale complicità di tali “sindacalisti” con i loro colleghi peggiori, autori di violenze e soprusi di ogni tipo. Ma c’è di più, perché risalendo la china delle gerarchie, anche i responsabili amministrativi e della sicurezza negli istituti o scelgono la strada del silenzio o della copertura (…).

Quest’ultima ipotesi è tutt’altro che peregrina tenuto conto che il potere dei sindacati ormai diventato eccessivo, si concretizza in vere e proprie attività intimidatorie che vanno dall’influenzare pesantemente il personale nei confronti di dirigenti onesti, alle lettere anonime di cui l’amministrazione penitenziaria non dovrebbe tenere conto ma che in realtà spesso si concretizzano in improvvise ispezioni o altri atti di improvviso controllo (sollecitate dai sindacalisti più accreditati a livello centrale) fino agli annunci di stato di agitazione del personale con motivazioni del tutto incongruenti e che hanno come vera finalità quella di mettere in cattiva luce i colleghi e le direzioni che non concordano con i sindacati stessi. Gli amministratori del DAP che nei gradi più alti sono magistrati (in spregio al principio costituzionale della separazione dei poteri), sono pavidi ed impotenti nel loro rapporto con i sindacalisti più intraprendenti, pur di evitare conflitti che potrebbero in qualche modo “disturbare” la loro ambita permanenza nei ruoli centrali da cui traggono potere, privilegi ed emolumenti a volte non indifferenti. Il Capo del DAP, tanto per fare un esempio eccellente, considerato “capo di polizia”, ha un’indennità aggiuntiva sul suo giù alto stipendio, di parecchie decine di migliaia di euro, che anche dopo un breve periodo di permanenza nella carica, resta ad arricchire pensione e liquidazione.

Ma c’è di più. I sindacati hanno i loro rappresentanti nel consiglio di amministrazione DAP e questo conferisce alle sigle un potere gestionale e spesso ricattatorio per le progressioni in carriera, le assegnazioni delle sedi di servizio e altro nei confronti di tutti gli operatori centrali e periferici che non condividono le loro politiche (Palamara docet).
Si tratta forse di uno degli aspetti più odiosi che lascia intendere quanto sia grande l’ombrello di copertura delle peggiori politiche e delle peggiori azioni e quanto contribuisca al permanere delle stesse per così lungo tempo.
Non tutti sanno inoltre quali problematiche si scatenano quando un arrestato viene condotto in carcere. Lo citiamo non a sproposito perché questo aspetto conferma quanto a volte può essere negativa l’atmosfera quotidiana negli istituti di pena. Spesso accade che le forze dell’ordine conducano in carcere arrestati a cui precedentemente è stato applicato un “trattamento” che come noto, può dirsi abituale: presentano lividi, ematomi, a volte stentano a stare in piedi ecc. I medici di guardia, spesso coadiuvati da disposizioni perentorie delle direzioni, certificano il loro stato di salute al momento dell’ingresso o nella peggiore delle ipotesi ne sconsigliano l’ingresso e li propongono per un ricovero preventivo in ospedale.

La reazione è immaginabile: il rifiuto degli ospedali di accogliere questi soggetti è molto forte e quello della pol.pen. di piantonarli altrettanto, specialmente se il tutto accade nelle ore notturne. Nei giorni successivi viene presentato per la firma ai direttori un rapporto con il certificato allegato ed il tutto, visti i contenuti, viene inviato “per competenza” alla Procura e per conoscenza a tutti gli altri organi giudiziari e amministrativi, compresi i comandi delle relative forze dell’ordine. Logica vorrebbe che ne scaturissero delle iniziative, dalla semplice richiesta di informativa più approfondita ad un avvio dell’azione penale per presunta notizia di reato. Accade invece, da molti decenni, che nessuno si muova nel suo ambito di competenza e che la questione cada nel più totale dimenticatoio. Noi leggiamo questo assordante silenzio come incoraggiamento a continuare nelle sopraffazioni e nei comportamenti violenti che tradotto in termini poveri è complicità.

Sono anni che si auspica un ritorno dei magistrati alle loro funzioni giudiziarie, sono anni che il trasferimento abituale di detenuti scomodi e “puniti” duramente non dovrebbe essere autorizzato dai Provveditori e/o dall’ufficio detenuti del DAP, tenuto conto che l’Ordinamento penitenziario vieta espressamente i trasferimenti disciplinari salvo casi gravi e conclamati di compromissione dell’ordine e della disciplina dell’istituto, casi peraltro rarissimi, da approfondire comunque, con atti ispettivi multidisciplinari che, nella migliore delle ipotesi, farebbero scoprire non pochi scheletri negli armadi. Sono anni che si attende una normativa più attenta e corretta che limiti una volta per tutte lo strapotere sindacale almeno per quanto riguarda le interferenze sulle attività gestionali degli istituti, e sono anni che si attende il riconoscimento della responsabilità civile dei magistrati, compresi quelli fuori ruolo presenti nel DAP ai quali è ancora data la possibilità di ritornare alle loro originarie funzioni quando e come vogliono, portandosi appresso gli emolumenti percepiti come amministratori.

Gli altri dipendenti statali invece, sono tutti responsabili di fronte alla legge e non solo per colpa grave ma spesso anche per molto meno o addirittura a titolo di responsabilità oggettiva per le azioni di qualche loro sottoposto.
Abbiamo scritto questi pochi capitoli, in progressione “random” solo per fornire un campione di quelle che sono le gravi contraddizioni che attanagliano il nostro sistema penitenziario. Molto altro ci sarebbe da dire e non escludiamo di farlo conoscere in successive note. Desideriamo non comparire come firmatari di questo documento e ce ne scusiamo, ma finiremmo in pasto a polemiche e ritorsioni che frenerebbero l’efficacia di una denuncia o meglio di una controinformazione mai tanto necessaria come nei casi in questione, svuotati della loro gravità da un’informazione pilotata da gente falsa e senza scrupoli che viene ancora considerata degna di credito da media e giornalisti a dir poco ingenui e poco smaliziati o deviati dalla routine e dalla fretta nell’uso e nella scelta delle loro fonti abituali.

 

Operatori penitenziari anonimi

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