La dinamica dell’elezione presidenziale dimostra ben di più dell’inadeguatezza delle leadership. È la manifestazione deflagrante di una crisi costituzionale. Abbiamo assistito allo spettacolo di un sistema che ha perso credibilità e legittimazione e al quale non è più riconosciuta rappresentanza. Ha perso cioè l’essenza di una democrazia rappresentativa.

Di fronte a ciò, vecchi leoni della partitocrazia e giovani professionisti dell’antipolitica gridano in coro che il ritorno del proporzionale ci salverà, perché darà modo ai partiti di ricostruirsi e, quindi, al sistema di acquistare stabilità e credibilità. In quest’analisi c’è un punto condivisibile, che segna un indubbio passo avanti, e un altro che alimenta il sospetto di disonestà intellettuale. È corretto individuare nella fragilità dei partiti un vulnus strutturale dell’intero sistema politico e istituzionale. Sono inconsistenti perché non riescono a produrre analisi dei problemi della società, proposte di governo e tantomeno classe dirigente; perché sono ostaggio di leadership padronali e volatili affette da bulimia comunicativa. Ma c’è un dato che li accomuna più di tutti e che non bisogna nascondersi perché riguarda direttamente la crisi sotto gli occhi di tutti: i partiti non fanno congressi e non vivono democraticamente.

Non sono cioè strumenti attraverso i quali i cittadini partecipano alla determinazione della politica nazionale. Sono piuttosto strumenti perfettamente funzionali all’allontanamento dei cittadini dalla vita politica. E hanno centrato l’obiettivo assicurando un’astensione ormai pressoché maggioritaria. Per questo un ritorno al sistema proporzionale non può determinare una riforma della politica. Lo si può chiedere, legittimamente, per perseguire un progetto politico, ma promettendo di voltare pagina. Serve invece conquistare una stagione di riforme che non si limiti alla legge elettorale ma investa l’assetto istituzionale, il funzionamento del Parlamento, le regole sulla vita interna dei partiti, il rafforzamento delle forme di partecipazione dei cittadini. L’obiettivo deve essere rivitalizzare il sistema politico istituzionale valorizzando l’esercizio della sovranità popolare attraverso il voto referendario non meno che attraverso quello per le elezioni politiche.

Troppo ambizioso? Allora si cominci subito da un impegno comune tra chi crede che serva una risposta concreta.
Diamo vita a un Coordinamento “Sì ai Referendum” che impegni in modo trasversale forze politiche, associazioni e singole personalità per chiedere ora e con forza che la prossima primavera sia garantito ai cittadini italiani di esprimersi democraticamente sui referendum su Cannabis, Eutanasia e Giustizia e che sia garantita loro una informazione adeguata e corretta sui temi oggetto dei quesiti. Non si tratta di esercitare una pressione inopportuna sulla Consulta che giudicherà l’ammissibilità dei quesiti, ma di valorizzare e sostenere l’importanza, vitale per la nostra democrazia in questo particolare momento, di quell’appuntamento referendario. Chi ha a cuore la sorte della nostra democrazia rappresentativa sa quanta linfa essa può ricevere dal dibattito pubblico e dalla partecipazione referendaria. Chi ne ha paura e spera di evitarli non si salverà né con il proporzionale né con altre leggi elettorali e contribuirà all’aggravarsi della delegittimazione dell’intero sistema.