La lesione dello Stato di diritto
L’ingiusta censura del 41 bis: vietata la corrispondenza tra difensore e prigioniero
Il 1° dicembre la Corte costituzionale è chiamata a decidere se una parte dell’articolo 41 bis dell’Ordinamento penitenziario – cioè la norma che disciplina il regime di detenzione speciale del c.d. “carcere duro” – è compatibile con i principi costituzionali che tutelano il diritto di difesa e il diritto ad avere un giusto processo. ItaliaStatoDiDiritto, come già aveva fatto in relazione alle questioni di costituzionalità sollevate sulla disciplina emergenziale della sospensione della prescrizione, ha deciso di produrre a sostegno della fondatezza della questione una propria opinione scritta alla Consulta (integralmente scaricabile su www.italiastatodidiritto.it), che è stata ammessa nel giudizio costituzionale con decreto del Presidente della Corte dello scorso 21 ottobre.
Come noto, il regime del “carcere duro” colpisce i detenuti il cui legame con le associazioni criminali di appartenenza sia ritenuto tale da non poter essere spezzato senza il ricorso a misure speciali che riducano drasticamente le occasioni di contatto con l’esterno. Tra le numerose limitazioni vi è anche la censura della corrispondenza tra il detenuto e il proprio difensore. Questa è la parte dell’articolo 41 bis della cui costituzionalità è chiamata a decidere la Consulta il 1° dicembre. La questione di legittimità è stata sollevata dalla 1 sezione penale della Corte di Cassazione lo scorso 19 marzo: l’ordinanza di rimessione ha efficacemente sviluppato il proprio ragionamento muovendo dai principi sanciti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 143/2013, che ha riconosciuto «il diritto a conferire con il proprio difensore e a farlo in maniera riservata, connaturato alla difesa tecnica che rientra nella garanzia ex art. 24 Cost. ed appartiene al novero dei requisiti basilari dell’equo processo».
In passato, la Corte costituzionale ha ricordato che detto diritto è inviolabile e deve potersi esplicare non solo in un procedimento già instaurato, ma altresì in relazione a qualsiasi possibile procedimento suscettibile di essere instaurato per la tutela delle posizioni garantite, e dunque anche in relazione alla necessità di preventiva conoscenza e valutazione – tecnicamente assistita – degli istituti e rimedi apprestati allo scopo dall’ordinamento (sent. n. 212/1997). Il passaggio è cruciale, visto che il carcere duro può essere applicato sia a detenuti in attesa di giudizio, sia a quelli che hanno riportato condanne definitive. ItaliaStatoDiDiritto, nella propria opinione scritta, ha chiesto che venga dichiarata illegittima la norma censurata perché la grave compressione dei diritti costituzionali che essa determina è fondata sulla presunzione che il difensore sia un soggetto potenzialmente pericoloso. Si tratta di una presunzione inaccettabile, visto che l’esercizio della professione forense è l’unica garanzia per l’effettiva tutela del diritto costituzionale di difesa; una professione regolata da precise norme deontologiche, nonché esposta a gravi e specifiche sanzioni penali, come il favoreggiamento. La censura della corrispondenza con il difensore, peraltro, non riguarda altre figure non dotate delle stringenti prescrizioni deontologiche e requisiti di professionalità della categoria forense: il riferimento, in particolare, va ai “membri del Parlamento”, per i quali il visto di censura non opera.
Pur riconoscendo l’alto ruolo di controllo rispetto al trattamento dei diritti umani in ambito penitenziario che possono avere i parlamentari, va osservato che non si può aprioristicamente escludere che ci possa essere un uso distorto, nel singolo caso, della deroga al visto di censura. Inoltre, la corrispondenza tra il detenuto e il parlamentare non è preordinata all’esercizio della difesa tecnica, nel cui contesto, come visto, la confidenzialità delle informazioni scambiate tra avvocato e parte assistita in ordine alle strategie processuali è condizione essenziale perché si possa compiutamente dire garantito il diritto di difesa all’interno del giusto processo previsto dalla legge.
In definitiva, la presunzione assoluta di pericolosità dell’esercizio della funzione difensiva forense che caratterizza il visto di censura previsto dall’articolo 41 bis è una manifestazione distonica rispetto allo statuto delle garanzie costituzionali, che non può essere in alcun modo giustificata, in una prospettiva di ragionevole bilanciamento tra il diritto di difesa e altri interessi contrapposti di pari rilevanza costituzionale, anche se legati alla protezione dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini nei confronti della criminalità organizzata. Manifestazione distonica che – tra le altre cose – mortifica la valenza solenne del giuramento forense, in forza del quale tutti i nuovi avvocati si impegnano “ad osservare con lealtà, onore, e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell’assistito nelle forme e secondo i principi del nostro ordinamento”.
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