È probabile che a primavera si voterà per i referendum sulla giustizia. Quale può essere la novità? Molto grande. Persino oltre il merito dei quesiti ai quali dovranno rispondere gli elettori. La novità sta nel fatto che una spinta popolare può invertire i rapporti tra Magistratura e Democrazia.

La posta in gioco è questa e l’esito non è affatto scontato. Oggi i rapporti tra Magistratura e Democrazia sono del tutto sbilanciati a favore della magistratura. Che dagli anni 70 in poi, e con un balzo prodigioso nel 1992, ha progressivamente sottomesso al suo potere e alla sua cultura quasi tutto il mondo politico. Sostituendosi al potere democratico, influendo o addirittura determinando le decisioni politiche, e il corso dell’economia, i rapporti civili e persino il senso comune. C’è chi dice che è stato un colpo di stato. Non credo che sia vero. È stata una rivoluzione, reazionaria e antidemocratica. Ma una rivoluzione, condotta con grande sagacia, con senso politico, con preparazione culturale, ma anche, evidentemente, con arroganza e senso di sopraffazione. Nessuna rivoluzione è possibile senza sopraffazione.

La politica, che è stata sconfitta tra il ’92 e il ’94, e poi definitivamente sottomessa negli anni successivi, non ha la forza per ribellarsi e liberarsi. L’idea di una autoriforma della magistratura è pura follia. Come se 70 anni fa ci si potesse aspettare una liberalizzazione dello stalinisimo. Le caratteristiche del potere non cambiano: mai un potere costituito si è volontariamente spogliato. Per questo il referendum è l’unica via. Se la Repubblica giudiziaria sarà sconfitta, con il quorum e con i Sì, i rapporti di forza cambieranno improvvisamente, la politica riprenderà fiato, la cultura giustizialista dominante cederà il passo. Lo farà persino nelle redazioni dei giornali e delle Tv. Si potrà tornare allo Stato di diritto.

Il referendum è anche molto rischioso. Se vince la magistratura ci sarà un rimbalzo medievale. Il potere delle toghe diventerà ancora più esteso. La democrazia si chiuderà in poche tane. È una partita politica epocale. Dalla quale dipenderà molto del futuro del paese. Più dal referendum, addirittura, che da Draghi.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.