Una corrente Bettini nel Pd? Non ci crede nessuno, amici e meno amici perché dicono che «Goffredo Bettini nemici veri non ne ha». Del resto il personaggio viene raccontato più come un “team leader” che non “un leader concentrato sulla propria leadership”. Tra gli spettatori-attori a distanza della Direzione fiume del Pd, iniziata ieri mattina (venerdì per chi legge, ndr) e che terminerà lunedì con le conclusioni di Zingaretti, l’opinione più condivisa è che l’uomo che ha sussurrato il successo a molti leader del partito «stia lavorando ad una propria area che sia il laboratorio in cui si elabora quella progettazione di pensiero e di azione politica che ora manca al Pd e la cui assenza rischia di travolgerci tutti».

Può suonare strano parlare di politica pura mentre il contagio corre e non è chiaro cosa sarà delle nostre vite. Ma è solo dalla politica che possono uscire le risorse e le idee, la visione e l’autorevolezza, per gestire questa nuova fase. E se la Direzione ieri avuto il suo centro nell’intervento del segretario, non c’è dubbio che tutti fossero in attesa di Bettini.

A 67 anni, dopo aver curato prima il fenomeno Veltroni, poi i “casi” Rutelli, Marino e Zingaretti, in pratica tutta la prima fila (tranne Matteo Renzi con cui però ci sono buoni rapporti) dei dodici anni di vita del Pd, Bettini ha annunciato che sta lavorando «non ad una corrente per carità» bensì ad una sua «area politica» che dovrebbe chiamarsi “socialista-cristiana” e il cui Manifesto – Covid permettendo – dovrebbe vedere la luce entro fine novembre. In tempo – su questo sono tutti d’accordo – per condizionare la grande corsa alla scelta del sindaco di Roma. «Ne ha battezzati tanti, prima o poi doveva fare il sindaco di Roma» è il pensiero condiviso al Nazareno. Dal retroscena alla scena.

L’idea di una propria “area politico-culturale” era uscita fuori la prima volta il 6 ottobre. Quella mattina Bettini scelse l’approfondimento di Omnibus su La 7 per lanciare la sua nuova creatura. Dettagli cresciuti in queste tre settimane tra interviste e dibattiti in tv fino a diventare nelle ultime 48 ore indizi sempre più coincidenti e concordanti. «Il Manifesto di Bettini», «ma non chiamatela corrente»; «non è il divorzio da Zinga». «C’è bisogno di capire meglio qual è il ruolo, la prospettiva storica direi strategica di questo partito» spiega il diretto interessato mentre rimbalzano i nomi dei prescelti – da Michele Meta a Morassut, i ministri Manfredi e Gualtieri, l’ex governatore Rossi – per scrivere il nuovo Manifesto del Pd.

Ieri mattina (venerdì per chi legge, ndr), quindi, le orecchie erano tutte (quasi) per il suo intervento. Che non ha deluso. «Ha volato molto alto, di certo non si è perso nei dettagli di un’operazione correntizia che non gli farebbe onore». E che, per altro, ha sempre contrastato. I vari interventi prima di Bettini non avevano fatto sconti all’azione di governo. Hanno messo in evidenza quattro gravi criticità: lo scollamento dell’azione politica rispetto all’opinione pubblica; i ritardi nell’azione di governo rispetto all’attesa “seconda ondata”; un modo di comunicare deleterio, che crea incertezza e paura; infine l’assenza di pensiero e programmazione. Critiche che Zingaretti ha proposto di superare chiedendo – per l’ennesima volta – «la svolta nell’azione di governo». Un “salto di qualità” che deve concretizzarsi nel “patto di legislatura” già messo sul tavolo da Matteo Renzi.

Ma chi voleva ascoltare qualcosa di più “alto”, con più “visione”, ha dovuto aspettare Bettini. Ha spiegato che sotto il profilo della coesione l’alleanza di governo ha fatto «passi in avanti» ora però il premier deve «stringere, subito, serve un punto di riferimento che tranquillizzi le persone, un patto per l’Italia che abbia come priorità spendere bene il tesoretto del Recovery fund». Bettini ha sferzato Conte e tutte le forze di coalizione quando ha indicato «la responsabilità di superare una concezione emergenziale» perché «oggi l’emergenza pretende dal governo maggiore autorità e autorevolezza». E’ giunto il tempo – adesso o mai più – che la coalizione «assuma una responsabilità politica comune». E il Pd lavori ad «un vero radicamento». Via libera, ma solo nell’ottica del rafforzamento, anche ad un «riassetto di governo» ma guai se dovesse essere percepito come interesse di qualcosa o qualcuno. Un discorso di alta politica. Che questa volta Bettini non ha solo suggerito. Ma ha voluto pronunciare in prima persona.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.