Quarantanove, capite? Quarantanove suicidi in carcere dall’inizio dell’anno. Sette – sì: sette – nei primi 10 giorni di agosto. Quasi uno al giorno. Di questi 49, la maggioranza erano giovani detenuti e la stragrande maggioranza stava lì dentro, imprigionata in gabbia, per reati piccoli, spessissimo per droga. Ieri ci sono stati altri due suicidi. Uno a Poggioreale e uno a Secondigliano. Dicono che il detenuto di Poggioreale fosse caduto in una forma grave di anoressia, che pesasse 43 chili, gli era rimasto lo scheletro e un po’ di pelle. Gli mancavano meno di due anni per finire la pena, ma questo signore di 43 chili ha pensato che altri due anni in cella non avrebbe potuto sopportarli. E se ne è andato. Nel senso che si è ucciso, perché alle volte è quello l’unico modo per farsi portare via dalle prigioni.

Voi capite che 49 suicidi sono una cifra da far paura. Non sappiamo quanti di loro fossero del tutto innocenti, probabilmente una buona percentuale. E una percentuale ancora più grande era forse colpevole di reati piccoli, che in un mondo civile, che non consideri la prigione come una vendetta, potevano essere sanzionati in modo molto meno crudele.

49 suicidi, in termini burocratici. Ma sono 49 omicidi di Stato. Sono una emergenza. Sono la prova che in Italia c’è la pena di morte. Spesso per furto, per piccolo spaccio. Come in Iran. È ovvio che nessun partito politico, in piena campagna elettorale, può farsi carico di questo problema. Nessun partito ha un elettorato davvero garantista, e tutti i partiti sanno che se si presentassero alle urne con un piano per svuotare le carceri si troverebbero di fronte un muro, un vero muro di travagli e conti vari, furiosi, urlanti, che gli lancerebbero contro una campagna feroce, in grado di fargli perdere moltissimi voti.

Perciò non ci rivolgiamo ai partiti. Neppure a quelli più garantisti, come Forza Italia o i nuovi centristi di Renzi e Calenda. Ci rivolgiamo alle massime autorità in questo campo: il Presidente della Repubblica e il Ministro della Giustizia. Loro non hanno problemi elettorali. Svolgono ruoli che sono fuori dalla guerra del consenso. Possono mettere al primo posto il diritto e la civiltà e ignorare il fiume impetuoso del forcaiolismo. Signora ministra, signor Presidente, è urgentissima una moratoria, come si è fatto qualche volta per la pena di morte. Bisogna che almeno 15 mila detenuti lascino subito le prigioni. Senza danni per la morale pubblica e senza rischi per la sicurezza. Ci sono più di diecimila persone in prigione responsabili di reati molto lievi. E poi ci sono quelli in attesa di giudizio, altre migliaia, che sarebbe giusto liberare. Vi supplichiamo di farlo. Il carcere è una infamia pubblica e che ci riguarda tutti. Voi avete il potere di intervenire. Fatelo.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.