Joe Biden ha salvato due volte la democrazia americana e di conseguenza l’Europa e l’Occidente. L’articolo che mi ha chiesto Matteo Renzi per inaugurare il primo numero del suo Riformista (auguri!) potrebbe finire qui e Biden potrebbe godersi la meritata pensione sulle rive del Delaware, ma purtroppo il suo compito non è finito e il mio articolo è appena cominciato. Biden deve salvare l’America, l’Europa e l’Occidente una terza volta, alle elezioni del novembre 2024, dall’assalto delle forze eversive. Gli storici della democrazia liberale e del mondo Pacifico e globalizzato – dove vige lo stato di diritto e si è liberi di scegliere il proprio destino protetti da un sistema di servizi sociali – ricorderanno il vecchio Joe come il miglior presidente americano dai tempi di Harry Truman.

Biden ha fermato il golpista Donald Trump, il primo presidente antiamericano della storia degli Stati Uniti, prima alle elezioni del 2020 e poi a quelle di metà mandato dello scorso anno. E oggi resta la migliore garanzia affinché l’impiastro venga archiviato, come diceva Ronald Reagan del comunismo, nella spazzatura della storia. Biden non ha fatto tutto bene, anzi ha commesso due grandi errori: per non alimentare la guerra civile americana, non ha trattato i golpisti di Trump da criminali, illudendosi che la sconfitta elettorale li facesse scomparire; Biden, inoltre, ha gestito in modo catastrofico il ritiro dall’Afghanistan, un ritiro peraltro deciso dal suo inetto predecessore.

Il primo errore è il motivo per cui Trump è ancora a piede libero e non a scontare una lunga pena federale per aver ordinato l’assalto al Congresso, provato a falsificare i risultati del 2020 e avviato la manipolazione del processo democratico del 2024 (senza parlare dell’aiutino ricevuto dai russi contro Hillary). Con l’errore in Afghanistan, altrettanto imperdonabile, Biden perlomeno ha stabilito un nuovo principio di politica estera con cui l’America ha superato sia il messianesimo democratico dell’era Clinton-Bush, sia la reazione declinista di Obama, sia l’isolazionismo di Trump.

La dottrina Biden evita la tradizionale oscillazione americana tra un approccio grandioso e uno deprimente agli affari del mondo e punta a rafforzare la democrazia liberale dove c’è, e a difenderla dall’aggressione se necessario anche con le armi. Laddove un sistema liberale invece non c’è, Biden offre un sostegno ai dissidenti, ma avendo cura di salvaguardarne l’autonomia e la legittimità. Insomma, Biden ha pragmaticamente allineato la politica americana al desiderio universale di libertà, senza però coltivare l’illusione di un facile successo. In questo modo, ha salvato l’Ucraina e l’Europa e continuerà a farlo fino alla sconfitta di Vladimir Putin, non ha cercato di mettere il cappello sulla rivolta iraniana e resta vigile su Taiwan. Grazie a Biden, ci siamo accorti che la notizia del superamento della democrazia liberale a vantaggio dei sistemi autoritari e illiberali era fortemente esagerata, non più accettata con rassegnazione come ai tempi di Obama o confermata come con Trump.

Biden è il presidente che “make America great again”, che ha fatto tornare gli Stati Uniti di nuovo un grande paese, ricordando a tutti che il mondo è un posto meno vivibile se l’America smette di fare l’America. L’alternativa a Biden è il suprematismo di Putin, è l’imperialismo cinese, è il caos (e chi fa finta di niente ne è complice).