Immuni è la app di contact tracing utilizzata dal Governo Italiano che ha lo scopo di aiutare a prevenire le infezioni da Coronavirus. In questi giorni l’entusiasmo dei Ministri Speranza e Pisano si è scontrato con la realtà dei primi mesi di utilizzo dell’app dove tra Asl, scarsa fiducia dei cittadini e dati con scarsa attendibilità, quello che doveva essere un software innovativo e di veloce applicazione, è diventato la barzelletta d’Italia. In questi mesi accademici, politici e giornalisti fanno a gara nell’esprimere la loro opinione, c’è chi invece segue da tempo il dibattito a distanza e prova a tracciare un metodo propositivo per rendere Immuni realmente efficace.

Il Riformista ha chiesto un parere al data journalist, Livio Varriale, esperto di tematiche digitali sul perché immuni non ha funzionato e la risposta è stata lapidaria: “Perché è nata burocraticamente male, impossibile applicarla nel nostro Paese salvo correttivi normativi forti e poi mi consenta, c’è davvero un dibattito di basso livello che mi stupisce molto visti gli attori impegnati. Nelle università e nelle stanze della politica i problemi si dovrebbero risolvere, ma qui sembra invece di assistere a discussioni da circoli letterari”.

Lei l’ha scaricata?
Non scarico una app che non serve, ma invito gli altri a scaricarla. Non vorrei essere additato mica come nemico del popolo e del progresso tecnologico.

Cosa non ha funzionato.
Per quel che so, e lo si è letto, è stato nominato un CTS composto da persone preparate che ha individuato due scelte tecniche ed il Ministro Pisano ha preferito scavalcare questa decisione e puntare su una azienda qualificata, con partecipazioni private vicine al mondo della politica e ad un fondo cinese. Questo però è un dettaglio giornalistico che potrebbe anche essere irrilevante dinanzi ad una comprovata efficacia tecnica. Al cittadino serve una app che funzioni per non infettarsi e ridurre al minimo il contagio e cosa dovrebbe fornire Immuni per assolvere al suo scopo?

Non saprei, me lo dica lei.
Mentre molti tra accademici, giornalisti ed esperti hanno cavalcato la promozione del numero crescente del numero di persone che scaricavano Immuni, io e alcuni informatici ci siamo domandati se l’app stesse funzionando. Può mai funzionare una app, che fornisce segnalazioni in anonimato degli infetti, avere all’interno del suo archivio solo 600 positivi mentre in Italia ne esistono almeno 70.000? Quindi il risultato è stato poche notifiche e pochi avvisi. Altra bugia che è stata presentata al pubblico è proprio il numero di Download. Dicono che Immuni possa funzionare bene se il 60% della popolazione ce l‘ha sul dispositivo, ma dimenticano che il 60% non deve essere un dato nazionale, ma territoriale che è ben diverso. Se il 60% è tutto il Nord, e il 40% è il sud, Immuni non funzionerà nel meridione. Se una regione a Sud ha l’80% e una a nord ha il 20%, funzionerà a macchia di leopardo. Altro aspetto agghiacciante è quello che è stato scelto un sistema decentralizzato per garantire maggiore privacy dei dati, ma è uscita una notizia che vede Apple e Google già pronti per fornire servizi di contact tracing se il governo dovesse autorizzarli. Come sanno di farcela se i dati li ha solo Immuni e per di più in anonimato? Ci sarebbe tanto di cui parlare, ma concentriamoci sul punto più importante.

Ma ci sono pubblicazioni, anche in ambito accademico, che dimostrano i benefici del contact tracing
Come fanno a dirlo? Ci sono pochi mesi di esperienza, i contagi salgono a dismisura e non esistono modelli europei di successo in tal senso. Questa è la vergogna del dibattito e invito chiunque ascolti dichiarazioni in tal senso a diffidare da chi le propone. L’unico paese dove il contact tracing ha dato i suoi frutti si chiama Cina.

Ma noi non siamo la Cina.
E allora non possiamo utilizzare questa tecnologia. Smettiamola con questa ipocrisia. Una app che traccia i contatti quotidiani di una popolazione è per definizione una violazione della privacy così come la concepiamo noi e si basa sull’obbligo di comunicazione della positività alla asl che è obbligata a caricare i dati sulla piattaforma e l’infetto ha l’obbligo di ospitare la app sul suo cellulare fino a quando non smette di essere positivo almeno. Vorrei fare una battuta, non siamo la Cina, ma per questi casi il GDPR europeo prevede comunque la deroga alle regole normate per tutelare la privacy dei suoi cittadini. Se non è oggi, potrebbe essere comunque domani.

E come fanno a controllare? Se io non la scarico?
Bene, vogliamo che la App funzioni? Il telefono o la app di un infetto vengono incaricati di mandare le segnalazioni alle autorità competenti qualora ci sia un alert di inutilizzo da parte di un infetto, l’autorità va a controllare immediatamente e a sanzionare se ci sono i presupposti. Altrimenti partner come Google e Apple a cosa servirebbero?

Come il braccialetto elettronico per i detenuti, è una barbarie questa.
Guardi, non basta scaricare una applicazione, ma fare in modo che questa sia utile. Molti pensano a prevenire le infezioni dopo la segnalazione ricevuta dall’App ed insistono giustamente sui tamponi da fare velocemente, ma il problema è che l’app non deve tenere conto di questo bensì assolvere al suo compito e cioè quello di segnalare e non vedo preoccupazione su questo aspetto che è quello che descrive o meno il funzionamento dell’applicazione. Se non fa questo, l’App potrà anche funzionare, ma non serve. Poi possiamo parlare o meno se un positivo da Covid debba essere riconoscibile perché, se mi trovo in una strada e passo vicino a un positivo, che probabilità ho di fare il tampone e risultare infetto? Se invece conosco il positivo e so che è il mio datore di lavoro o un congiunto, allora vale la pena di intasare il sistema sanitario facendo richieste di tamponi. Leggevo della Prestigiacomo e delle notifiche di falsi positivi, immaginate se all’improvviso corrono tutti in ospedale per di casi di falsa positività. I big data servono a qualificare i flussi, non a riportarli solo.

Molti sostengono che il Governo ha fatto già molto e Immuni sia stata boicottata dalle Asl e dalle regioni.
Se non c’è l’obbligo di comunicare la propria positività e di renderla tracciabile alla comunità, mi spiega come si fa a dare colpa alla Asl? L’Asl ha colpa se un positivo dichiara la volontà di essere inserito nell’archivio e non procede a farlo. Il Governo ha la colpa di non aver avuto coraggio nell’imporre Immuni ai suoi cittadini, ma soprattutto agli infetti e forse è meglio così visto che è stato scelto un sistema decentralizzato. Queste cose dovrebbero interessare lo Stato in prima persona senza coinvolgere privati cosa che ha delineato il peccato originale di Immuni e la mancata fiducia da parte di molti, me compreso. Adesso che ci penso sa cosa ha boicottato Immuni?

No cosa
Le passerelle di molti che per aggraziarsi il Governo, per visibilità e per incarichi di consulenza tecnica, non hanno mai centrato il punto della discussione, anzi, spesso hanno dovuto fare i conti con la logica e cambiare opinione smentendosi. Per alcuni è stata impreparazione, per quelli bravi, io ci vedo sia un feticcio tecnologico di cui discutere sia, per una parte minima ma di opinione, malafede e lobbismo. Immuni dovrebbe essere è una cosa seria, non un dibattito da Bar o una opportunità corporativistica. Da questa storia si comprende il perché l’Italia sia arretrata nel settore digitale dal punto di vista strategico nazionale.

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Classe '87 appassionato di politica, calcio e cinema. Da 10 anni racconta la città di Napoli su blog e dal 2020 sul Riformista.