Pochi giorni fa il mio cane è morto: era anziano e la cura dell’ultimo tratto della sua vita è stata particolarmente impegnativa. Non è come per gli umani: ancora il mondo della sanità collegato ai pet non è così avanzato, almeno non lo è dappertutto. Mi è venuto in mente, nelle sue ultime ore, quello che cantava Franco Battiato ne “La cura”: quella parola – “cura” – mi risuonava dentro come invocazione laica di qualcosa di più profondo, il bisogno di essere visti, accolti, custoditi. È così per tutti gli esseri viventi, e i cani non fanno eccezione. In effetti, oggi, la cura è diventata anche il campo di battaglia di una rivoluzione tecnologica: la medicina, la diagnostica, l’assistenza psicologica stanno cambiando pelle.

L’Intelligenza Artificiale è entrata negli ospedali e nei laboratori, con strumenti capaci di diagnosticare infezioni o riconoscere tumori su radiografie in pochi secondi fino a prendere decisioni complesse. Per anni abbiamo immaginato l’IA come un copilota: uno strumento capace di assistere l’essere umano, ma mai di guidare da solo. Ora questo paradigma sta cambiando. Secondo il Financial Times, siamo entrati nell’era dell’“IA agentica”, una forma di Intelligenza Artificiale in grado di operare con un certo grado di autonomia. Proprio come un pilota automatico, che non solo riceve istruzioni, ma sa anche dove andare, come reagire e quando fermarsi. Questo salto è reso possibile da una combinazione di fattori: modelli linguistici avanzati (LLM), capacità predittive, memoria contestuale e un’interfaccia in linguaggio naturale che rende l’IA più accessibile anche a chi non ha competenze tecniche. Il risultato? Agenti intelligenti che possono operare in autonomia, ma sempre sotto la supervisione di un umano esperto.

Nel Regno Unito, Pets at Home fa da apripista: il più grande gruppo britannico dedicato al benessere degli animali ha abbracciato le soluzioni IA di Microsoft per trasformare radicalmente l’intero ecosistema della cura veterinaria. Cosa significa tutto questo? Che agenti intelligenti possono trascrivere automaticamente le visite, suggerire trattamenti personalizzati, organizzare i turni di fisioterapia per gli animali ricoverati e ottimizzare la gestione del tempo del personale. Non è fantascienza: è ciò che sta accadendo oggi nelle strutture di Pets at Home.

Il cuore della trasformazione è una piattaforma basata su Microsoft Azure, che integra dati clinici, storico degli acquisti, informazioni comportamentali e parametri ambientali. L’IA analizza questi dati e genera raccomandazioni ad hoc, migliorando la qualità delle cure e riducendo il rischio di errori. L’animale viene trattato non solo in base alla patologia, ma alla sua storia completa. Una delle potenzialità più promettenti degli agenti IA è la loro capacità predittiva. Imparando dai dati storici, possono segnalare in anticipo segnali di malessere, ottimizzare le scorte di farmaci, individuare pattern di comportamento sospetti – come tentativi di frode – e suggerire aggiustamenti nei protocolli clinici. E mentre la macchina lavora, impara. Ogni interazione diventa un’occasione per affinare i processi e migliorare le performance.

Ma attenzione: non siamo ancora al livello 5 dell’automazione, quello in cui un sistema gestisce da solo ogni tipo di scenario senza input umano. Oggi gli agenti operano per lo più al livello 2 o 3: supportano compiti specifici, si adattano a contesti noti e migliorano processi ripetitivi. Nei contesti complessi, inediti o ambigui, la presenza umana resta indispensabile. Come ha spiegato Cassie Kozyrkov, ex chief decision scientist di Google, l’IA funziona meglio quando è guidata con chiarezza. “Il futuro è la modularizzazione – dice – Non ci si fiderebbe dell’essere umano più intelligente per fare tutto, quindi perché fidarsi di un’IA senza limiti?”. La sfida, semmai, è progettare i flussi di lavoro pensando fin dall’inizio all’IA: processi nativamente intelligenti, dove gli agenti non sono solo un’aggiunta, ma una componente organica della macchina organizzativa. E questo vale anche per la veterinaria.

Il caso di Pets at Home mostra che la medicina animale non è affatto un settore “di nicchia” rispetto all’evoluzione tecnologica. Anzi, può essere un laboratorio ideale per sperimentare strumenti che in altri contesti – come la sanità umana – devono affrontare barriere normative o resistenze culturali maggiori. Qui l’IA non sostituisce il veterinario, ma ne esalta la competenza: libera tempo, riduce il margine di errore, migliora la comunicazione. E crea le condizioni per una cura più umana, paradossalmente, grazie alla macchina. Allora il tempo umano può tornare a fare ciò per cui è insostituibile: prendersi cura, davvero. Non solo guarire, ma ascoltare. Non solo prevenire, ma accompagnare. Non solo risolvere, ma restare. Forse è questa, oggi, la sfida più grande: ricordarci che la cura non è solo ciò che facciamo, ma come lo facciamo.

Avatar photo

Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro al The Watcher Post.