A 22 mesi esatti dall’arresto in “Rinascita Scott”, i carabinieri bussano di nuovo alla porta di Giancarlo Pittelli per portarlo in carcere. Per l’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa, il reato jolly usato dalle procure d’Italia per colpire avvocati e politici, imprenditori e dirigenti: secondo la Dda di Reggio Calabria che ha coordinato l’operazione “Mala pigna”, avrebbe svolto il ruolo di “faccendiere” e uomo politico di riferimento della cosca Piromalli di Gioia Tauro. E in più, scrive il Gip dell’indagine che ha portato all’emissione di 29 misure cautelari, Pittelli avrebbe veicolato «informazioni dall’interno all’esterno del carcere tra i capi della cosca Piromalli, detenuti in regime carcerario al 41 bis.»

Da ieri mattina l’avvocato catanzarese è tornato di nuovo dietro le sbarre, luogo che ha conosciuto la mattina del 19 dicembre 2019 quando giornali e tv piombano a Catanzaro per l’operazione “Rinascita Scott”: quella che il procuratore Nicola Gratteri battezzava come la più grande operazione antimafia dopo il maxi processo alla Mafia siciliana. Gratteri in quel mega blitz contro le cosche di ‘ndrangheta del Vibonese mette a segno 334 arresti per un totale, alla richiesta di rinvio a giudizio, di 457 imputati. Tra Riesame e Cassazione subisce una frenata: 200 posizioni circa sono modificate per carenza di gravità indiziaria o alleggerimento delle esigenze cautelari. “Mega pigna” invece si concentra su un traffico di rifiuti, ha una portata numerica minore e il ruolo di Pittelli è circoscritto nella vicenda in cui «veniva incaricato, tra l’altro, dallo stesso Luigi Mancuso di mettersi a disposizione per la risoluzione di talune questioni riguardanti un esponente di vertice della cosca dei Piromalli di Gioia Tauro, ossia Rocco Delfino”.

Ritorna in carcere, dunque, ad un anno esatto dal giorno in cui il Tribunale della libertà di Catanzaro gli ha concesso gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico dopo numerosi ricorsi della difesa che ogni volta ha messo in luce le gravi condizioni di salute dell’ex parlamentare forzista. Dietro alle sbarre ci è rimasto per 9 mesi e 28 giorni, dalla mattina del 19 dicembre 2019: nel primo interrogatorio, Pittelli metterà a verbale che «sono stato portato in carcere in una cella indicibilmente immonda, senza provvista di acqua, senza provvista neanche di sigarette o di generi di conforto». Oltre 9 mesi trascorsi nel carcere di Siano e soprattutto nel carcere di Nuoro, la città sarda che lo ha visto confinato pochi giorni dopo l’arresto e che in due anni ha fatto sbizzarrire giornali e Tv: sentenze pubbliche anticipate, show televisivi, frasi estrapolate dalle intercettazioni e pubblicate in prima serata.

In questi anni, la detenzione e le condizioni di essa hanno più volte interrogato alcuni politici e giornalisti. Il Riformista ha parlato in più occasioni delle sofferenze della carcerazione di Pittelli, raccontata anche dagli atti difensivi dei suoi avvocati, Salvatore Staiano e Guido Contestabile (quest’ultimo ha rinunciato e insieme a Staiano lo difende il professor Vincenzo Maiello) che l’hanno descritta come una “devastazione psicologica”. La scure giudiziaria ritorna ad incrociare il binario di Pittelli. Vedremo se nello stesso treno viaggeranno anche i diritti, le garanzie e le tutele che lo Stato di diritto dovrebbe concedere a tutti.