“Metta giù le mani. Non mi tocchi!”, grida per difendersi l’indagato. Il Procuratore che lo aggredisce in aula gli si fa sotto. È quasi un match. Siamo a Firenze, al Palazzo di Giustizia. Il Procuratore aggiunto è Luca Turco. Essendo vacante il posto di Procuratore capo, è anche il facente funzione. L’indagato si chiama Matteo Renzi. È presente in aula dove si celebra, a porte chiuse, l’udienza preliminare per il caso Open. Secondo quanto ci raccontano i testimoni, l’Aggiunto Turco entra nell’aula già molto teso. Lo hanno avvisato che il Tribunale pullula di giornalisti, ma ha disposto la celebrazione dell’udienza a porte chiuse. Nei corridoi si contano i giorni per l’arrivo del nuovo Procuratore capo. Da Livorno dovrebbe arrivare a Firenze Ettore Squillace Greco per guidare la Procura fiorentina. Il clima è di grande attesa.

Quando l’udienza è ormai conclusa, la Corte non si ritira. Turco si alza. Punta verso Matteo Renzi. I difensori fanno da bodyguard. Il Pm si avventa contro l’indagato e va verso Renzi. Ma è più basso. Brandisce con il braccio destro un tablet, si avvicina all’ex premier e gli grida contro. Lo fa “con fare visibilmente contrariato”, diranno i presenti. Cosa c’è nell’iPad di Turco, cosa lo ha irritato tanto? Una intervista di Renzi con il quotidiano La Stampa. Il titolo sulla prima pagina del quotidiano torinese è: “Tra un anno faccio cadere Meloni”. Poi qualche cenno al caso Open, evidentemente non andato giù a Turco. Renzi: “E adesso che fa? Mi vuole processare anche per le mie interviste?”. La tensione sale. Intervengono gli avvocati, i cancellieri. Si sfiora il parapiglia. Ancora Renzi: “Io non mi fido di lei. Ho rispettato la legge, lei non ha rispettato la sentenza della corte di Cassazione”. L’alterco è andato avanti per dieci irritualissimi minuti davanti a testimoni impietriti. Luca Turco, pisano, classe ’54, aderente a Magistratura Democratica, si occupa della famiglia Renzi da molto vicino. È lui a chiedere nel 2019 all’allora Procuratore Creazzo di autorizzare i mandati di custodia cautelare per i genitori dell’ex premier, Tiziano Renzi e Laura Bovoli.

Il decreto legislativo 109 del 2006, all’articolo 1 («Doveri del magistrato») spiega che i togati devono essere e mostrarsi «imparziali, corretti, diligenti, laboriosi, riservati, equilibrati e rispettosi della dignità della persona». “Sorprende che sia accaduto a porte chiuse, perché di solito i magistrati si lasciano andare ad atteggiamenti arroganti e anche violenti quando sono davanti alle telecamere”, riflette il giornalista Filippo Facci, che sull’argomento ha documentato anni di veemenza sopra le righe nei processi milanesi. “Difficile che perdano le staffe quando sono a porte chiuse. Quando questo accade, tradiscono la loro vera natura, mostrano un istinto insopprimibile”, chiosa Facci. In verità alla disciplinare del Csm esiste una corposa cronistoria delle baruffe togate: spesso si è sfiorata la rissa, soprattutto tra Pm e avvocati. In processi minori, a riflettori spenti. Nei tribunali più defilati. Mani Pulite ci aveva abituati al Saloon. Agli interrogatori minacciosi. Al fare brusco di un nerboruto Antonio Di Pietro. A un Piercamillo Davigo che interrogando Enzo Carra scagliava rabbiosamente a terra un codice di procedura penale. Di Pietro (che di Silvio Berlusconi, riferì Francesco Saverio Borrelli, disse: “Io a quello lo sfascio!”) e il cronista Facci vennero quasi alle mani, a margine di una udienza durata nove ore. Erano andati in bagno nello stesso momento, approfittando di una pausa, e al ritorno si erano spintonati sullo stipite della porta.

Ieri a Firenze si celebrava in via preliminare, un procedimento del caso Open. Un processo, quello sul caso Open, che nei quattro anni dai quali si trascina la fase preliminare si è già macchiato da ombre di vario genere: perquisizioni a macchia d’olio, sequestri indebiti (definiti tali dalla Cassazione) dei cellulari degli ignari donatori della Fondazione fiorentina. In ultimo, come Renzi ha fatto notare a Turco: il mancato rispetto della sentenza della Suprema corte che ordina la distruzione di tutto il materiale derivante da quei sequestri abusivi. Ora, questa aggressione di un magistrato con funzione inquirente – con il pieno potere di decidere della libertà personale degli indagati e di disporne l’arresto nei casi previsti – nei confronti di un indagato, esorbita dalla casistica sin qui conosciuta. Attaccando non solo un indagato perché ha rilasciato una intervista, ma attaccandolo con la bollinatura discriminante di essere “l’indagato principale”. (“Guardi che non ci sono indagati principali, siamo tutti uguali in questa udienza preliminare”, ha fatto notare Matteo Renzi a Luca Turco). Ed attaccandolo per aver rilasciato una intervista a un quotidiano.

Uscendo dal palazzo di Giustizia, Renzi ha detto: “Se qualcuno pensa di minacciarmi o intimidirmi non mi conosce. Mi dispiace solo se questo stile arrogante viene utilizzato anche con imputati che non hanno la possibilità di difendersi come faccio io”. “Avevo promesso che non avrei saltato alcuna udienza, compatibilmente con gli altri impegni. Io non ho violato alcun articolo di legge, il mio comportamento è assolutamente specchiato e corretto. Inizio a sospettare che non tutti i magistrati possano dire la stessa cosa. Ho come l’impressione che bisognerà verificare se qualche Pm ha violato la legge. Per essere esplicito, se la corte di Cassazione dice al Pm distruggi il materiale sequestrato, e il Pm non lo distrugge, questo è o eversivo o anarchico. Irrobustiremo questa denuncia: se tu, Pubblico ministero, hai ricevuto una sentenza che ti dice che devi distruggere il materiale che non puoi avere, e tu non ottemperi, e lo fai girare come è successo in una commissione parlamentare, ti porto in Procura a Genova, competente per Firenze, e si vedrà in quella sede chi ha trasgredito le regole”.

Nel merito, l’udienza ha visto aggiornare i termini a due mesi. Per allora è atteso il pronunciamento della Corte costituzionale sul mancato rispetto della distruzione dei materiali illegittimamente ottenuti. Il procuratore facente funzione ha guardato la difesa sperando di trovarla consonante: “Per voi va bene se rimandiamo?”, ha proposto. Quelli hanno detto no: per i legali dell’ex premier si deve poter procedere senza nicchiare. Ma stavolta sembra essere la Procura a voler seguire un calendario cadenzato. E fissa una nuova udienza per il 27 gennaio 2023. La Corte Costituzionale mercoledì aveva giudicato ammissibile il ricorso del Senato sulla violazione dell’articolo 68 della Costituzione nei confronti di Renzi da parte della Procura di Firenze.

All’interno del fascicolo d’indagine su Open, la vicenda riguardava in particolare la messaggistica intercorsa fra l’ex premier e l’imprenditore Vincenzo Manes all’indomani del sequestro del cellulare di quest’ultimo. Nel fascicolo, aperto con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti, erano anche finite delle mail fra Renzi e Marco Carrai, oltre ad alcuni estratti conto. La Procura aveva argomentato che la norma parla di corrispondenza e non di WhatsApp o di mail. La Corte Costituzionale ritiene fondato il ricorso e dirà la sua, dopo che la Cassazione aveva dato il suo parere sull’illegittimità dei sequestri di computer, telefoni e iPad. Il tablet del Procuratore invece è diventato protagonista, per un giorno, della singolar tenzone nel ring dell’aula.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.