La decisione del Plenum
Povero Davigo, pugnalato dagli amici e cacciato dal Csm

Piercamillo Davigo oggi compie settant’anni e va in pensione. Il Plenum del Csm ha votato ieri, nell’ultimo giorno utile, la sua decadenza da Palazzo dei Marescialli per raggiunti limiti di età. Termina, dunque, un tormentone che si stava trascinando da mesi e che rischiava di creare più di un imbarazzo al Quirinale. È stata respinta la tesi, propagandata con insistenza in queste ultime settimane dal Fatto Quotidiano, che l’anagrafe per i consiglieri togati fosse una variabile indipendente. Anche per loro, ha stabilito il Csm, valgono le regole sullo status giuridico che si applicano a tutti magistrati e che fissano al compimento dei settant’anni l’età massima per il trattenimento in servizio.
Non essendo previsto espressamente fra le cause di decadenza il collocamento a riposo, i supporter della permanenza di Davigo al Csm avevano puntato tutto sul termine di durata quadriennale dell’organo di autogoverno delle toghe. Davigo stesso aveva messo in evidenza questo aspetto, ricordando in una memoria che la Costituzione prevede che i componenti del Csm rimangano in carica per quattro anni e che, se si dovesse ritenere che il collocamento in pensione in quei quattro anni determini la cessazione, non dovrebbe essere prevista l’eleggibilità, come accade per le nomine ai vertici degli uffici giudiziari, per cui è stabilito che chi aspira all’incarico debba garantirne la copertura almeno per un quadriennio. Che Davigo compisse settant’anni il 20 ottobre del 2020 era abbondantemente noto quando il magistrato si candidò al Csm due anni fa e venne eletto con un plebiscito.
Non essendoci precedenti specifici, però, si sarebbe trattato del primo caso di un magistrato “pensionato” al Csm. Davigo, a tal riguardo, aveva bocciato una sentenza del Consiglio di Stato del 2011, l’unica su questo aspetto, con cui si stabiliva che l’appartenenza all’ordine giudiziario è requisito per il mantenimento della carica in quanto il Csm è organo di autogoverno della magistratura. Una sentenza con “gravi errori in punto di diritto costituzionale”, perché il Csm sarebbe “organo di governo autonomo” e dunque “non organo di rappresentanza ma organo di garanzia”. Tutte argomentazioni che erano state respinte dalla Commissione verifica titoli che, con i voti delle togate di Magistratura indipendente Loredana Miccichè e Paola Maria Braggion e con l’astensione del laico in quota M5s Alberto Maria Bendetti, aveva chiesto il mese scorso un parere all’Avvocatura dello Stato. Parere inizialmente secretato dal vice presidente del Csm David Ermini e che ieri è stato, appunto, discusso.
Che la permanenza di Davigo al Csm non fosse scontata si è capito comunque dopo aver sentito l’intervento di Nino Di Matteo. Il pm antimafia, prendendo la parola, aveva annunciato la decisione di votare a favore al decadenza “con grande dolore” per la stima nei confronti di Davigo che “lascerà un segno nella storia recente della magistratura italiana”. E poi, riprendendo quanto già espresso dalla Commissione verifica titoli, aveva sottolineato che l’appartenenza all’ordine giudiziario è condizione imprescindibile per l’organo di autogoverno della magistratura che è per 2/3 composto da magistrati.
«Il rapporto predeterminato tra laici e togati è una regola sancita dalla Costituzione» e quindi la permanenza di Davigo al Csm dopo il suo collocamento in pensione «violerebbe la ratio e lo spirito delle norme costituzionali» e «introdurrebbe un tertium genus di consigliere né togato né laico che altererebbe il rapporto tra i componenti». La conclusione, tombale per i destini di Davigo, di Di Matteo che l’anno scorso era stato candidato al Csm proprio nelle liste davighiane. Dopo Di Matteo era stato il turno dei capi di Corte, il primo presidente Pietro Curzio e il procuratore generale Giovanni Salvi, con due interventi da ko tecnico. Il saluto di David Ermini a Davigo, ringraziando per quanto fatto, era stato quindi l’epilogo finale. Nessuna sorpresa al momento del voto: tredici per la decadenza, sei contrari, cinque gli astenuti. Grande sconfitto, oltre a Marco Travaglio, Giuseppe Cascini.
L’ex procuratore aggiunto di Roma e capo delegazione delle toghe progressiste al Csm si è battuto come un leone per cercare di salvare il suo alleato. Da domani il posto di Davigo sarà preso da Carmelo Celentano, giudice di Cassazione nel 2018 si candidò nelle liste di Unicost, il gruppo di centro. Con l’uscita di Davigo cambiano gli equilibri al Csm. Domani, infine, si conosceranno anche gli esiti delle elezioni dell’Anm. Le prime elezioni dopo il Palamaragate. E senza Davigo.
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