Dopo il processo farsa a Palamara – con condanna preconfezionata e dibattimento azzerato – cosa resta del prestigio del Csm che, tanti tanti anni fa, fu presieduto da un giurista del valore di Vittorio Bachelet, che ha avuto nel tempo grandi personalità tra i suoi componenti, e che ora è solo la terra di pascolo delle correnti, assetate di potere, di spartizioni, di accordicchi? Non resta niente, siamo sinceri. Anche i più incalliti difensori del potere giudiziario e dell’ordine costituito lo sanno benissimo: non resta niente di quel prestigio. Il Csm, che dovrebbe governare la magistratura, controllarla, ed essere garante della sua indipendenza, in realtà è ormai nelle mani del partito dei Pm, è stato privato di ogni potere di controllo e garantisce non l’autonomia ma esattamente il contrario: la non indipendenza dei magistrati.

Tutta la retorica sulla necessità di difendere l’indipendenza dei magistrati è stata fatta a brandelli dal Palamara-gate. Si è accertato che esiste un pezzo piuttosto vasto di magistratura – e cioè quello più potente, quello che accede agli incarichi di maggior prestigio e potere – che è alle dipendenze dirette del sistema della correnti e cioè del partito dei Pm. È il partito dei Pm che decide a chi assegnare i vertici delle procure e dei tribunali, che stabilisce le promozioni, le carriere, le prebende. Chiunque sia all’interno di questo sistema deve per “statuto” rinunciare alla propria indipendenza e affidarsi alla “signoria”. Chi raduna e controlla e governa le signorie? L’Anm, cioè una associazione di magistrati non prevista dalla Costituzione, dichiaratamente correntizia e che per la sua stessa struttura impedisce qualsiasi forma di indipendenza del magistrato. Una volta che il magistrato entra in questo meccanismo non è più un professionista autonomo che risponde solo alla legge, è un magistrato di Unicost, o di Magistratura indipendente, o di Area, o è un davighiano, ed è tenuto a rispondere al suo capobastone. Non è elegante scrivere capobastone? Diciamo, più propriamente, al leader della sua corrente. Va bene? Le correnti corrispondono a diverse ideologie, o aree culturali? No, nessuno conosce le differenze “ideologiche”, che trent’anni fa erano piuttosto marcate. Le correnti rispondono solo a se stesse, e – talvolta- ai partiti politici di riferimento in Parlamento.

E il Csm cosa ci sta a fare? Sta lì per cementare e per guardare le spalle a questo sistema. E per garantire l’insindacabilità dei magistrati. Il concetto di indipendenza è stato sostituito interamente dal concetto di insindacabilità. Come funziona? Così: il magistrato che aderisce a questo sistema rinuncia alla propria indipendenza e mette a disposizione della corrente anche l’orientamento di alcune sentenze: in cambio ottiene impunità assoluta e una discreta quantità di potere. Tutto questo funziona da molti anni. Con magistratopoli è saltato alla luce dell’evidenza. Magistratopoli è il frutto imprevisto di un errore commesso da alcuni magistrati. Nella lotta per la conquista della Procura di Roma, nella quale erano coinvolti i pezzi più potenti del potere giudiziario, si è proceduto senza esclusione di colpi. Sono entrate in conflitto due potenze, due corazzate, come quella di Palamara e quella di Pignatone, con la corazzata esterna (quella di Travaglio e Davigo) pronta a intervenire nello scontro. La violenza della battaglia ha impedito il solito controllo della situazione.

Qualcuno ha giocato troppo spavaldamente e son saltate fuori le intercettazioni che potevano radere al suolo l’intero sistema della giustizia italiana. Questo non è successo per tre ragioni: la stampa si è schierata compatta a difesa dei suoi Pm (tranne noi e un paio di altri giornali). La magistratura si è chiusa a riccio per impedire il tracollo, la politica si è “cacata sotto”. Anche qui forse sto usando una terminologia non elegante. Mi correggo: la politica si è un po’ impaurita. L’intervento a favore dei magistrati sputtanati da parte del Procuratore generale della Cassazione ha chiuso la partita.

Ora diciamo la verità: in una situazione come questa conta molto se il Csm decide di violare la legge e confermare il seggio a Davigo anche se lui il 20 ottobre va in pensione e ne perde indiscutibilmente il diritto? Sarà una toga non toga abusiva a minare il prestigio di un organismo ormai del tutto sputtanato? No davvero. Mercoledì il Csm deciderà, con un voto, se salvare Davigo o dannarlo, dichiararlo decaduto e fargli perdere due anni di compensi piuttosto ricchi. Davigo ha spiegato in tutti i modi che lui a quel seggio ci tiene maledettamente. Ma perché adesso bisogna prendersela proprio con questo povero magistrato? Lasciate che mantenga la sua poltroncina e i suoi emolumenti: non farà di sicuro male a nessuno…

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.