La prima udienza al Palazzo di Giustizia di Parigi era una pura formalità per registrare il rifiuto all’estradizione dei 9 ex militanti della lotta armata esuli in Francia. Un passaggio necessario dopo gli arresti della settimana scorsa. Tutti hanno rifiutato l’estradizione e sono attualmente a casa e in libertà vigilata.

Marina Petrella ha rotto il silenzio rispondendo a qualche domanda appena uscita dall’udienza, “a titolo del tutto personale”. Marina Petrella, oggi di 66 anni, ex brigatista, ha parlato di “dolore e sofferenza” e di “compassione per tutte le vittime e tutte le famiglie, compresa la mia”. Ma l’idea di pentimento “appartiene alla mia sfera intima e di questo non parlerò mai”, come ha riportato il Corriere della Sera.

Ha raccontato che dopo la fuga dall’Italia ha cercato di riscattarsi facendo del bene nella comunità, lavorando come assistente sociale nel XX arrondissement di Parigi. “Quello è stato il mio riscatto simbolico, se vogliamo”.

“Ho fatto 10 anni di carcere, fra Italia e Francia. E trenta di esilio, un’espiazione quotidiana che dura tutta la vita, una pena senza sconti. Senza la possibilità di tornare nel proprio Paese, e sotterrare i propri morti”, ha detto Petrella. “Le vittime per le quali siamo stati condannati, perdonate il linguaggio cinico, orribile, sono state largamente risarcite da tutti i compagni che hanno fatto ergastoli. Non sono vittime rimaste prive di riconoscimento, punizione, memoria. Questa idolatria vittimistica è un grande passo indietro filosofico”.

Petrella è moglie del dirigente brigatista morto l’anno scorso Luigi Novelli e sorella di Stefano Petrella, uno dei br condannati per l’uccisione del fratello del pentito Patrizio Peci. Venivano tutti, come molti militanti della colonna romana delle Br, dal gruppo Viva il comunismo e Marina è stata a sua volta dirigente della colonna romana. Condannata per l’omicidio del generale dei carabinieri Galvaligi e per il sequestro Cirillo a Napoli, nella scissione delle Br si era schierata con la fazione Partito comunista combattente il che rende per lo meno dubbia la partecipazione al sequestro Cirillo, che costò la vita a due agenti e fu gestito dalla fazione opposta quella del “partito guerriglia”.

Marina Petrella è fuggita in Francia, dopo aver scontato anni di custodia cautelare prima della sentenza di Cassazione del maxi-processo alla colonna romana Moro-ter. A quel punto aveva già abbandonato ogni forma di militanza politica.

Petrella fu arrestata nell’agosto del 2007 e anche allora l’estradizione sembrava inevitabile, nonostante fosse in quel momento seriamente malata. Si mosse e la salvò, a sorpresa, la moglie italiana dell’allora presidente Sarkozy, convincendo il marito a negare l’estradizione “per ragioni di salute” in base alla convenzione umanitaria Italia-Francia del 1957. Sarkozy scrisse anche al presidente italiano Napolitano chiedendogli di concedere una grazia che Napolitano non solo non concesse ma diramò una nota piuttosto dura, di fatto chiedendo al francese di non impicciarsi degli affari italiani.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.