Le tappe
Processo O.J. Simpson, l’investigatore bianco, il razzismo e i guanti piccoli: perché “non è colpevole”

L’imputato: Orenthal James Simpson, celebre giocatore di football americano.
L’accusa: omicidio di primo grado dell’ex moglie Nicole Brown e del cameriere Ronald Lyle Goldman.
Le date:
13 giugno 1994 – alle ore 00.10, vengono ritrovati fuori dall’abitazione della donna i due corpi. Nel pomeriggio dello stesso giorno O.J. Simpson viene interrogato dalla polizia di Los Angeles.
17 giugno 1994 – viene formulata l’accusa di duplice omicidio di primo grado e O.J. si dà alla fuga per le autostrade di Los Angeles, viene inseguito dalla polizia in diretta TV fino a che non viene ammanettato e arrestato.
9 novembre 1994 – inizia il processo penale, con il giuramento dei dodici membri della giuria della Corte Superiore della contea di Los Angeles.
24 gennaio 1995 – si celebra la prima udienza.
La tesi dell’accusa:
Il movente dell’omicidio sarebbe stata la gelosia. Per l’intero processo i procuratori tentano di dimostrare l’indole violenta di O.J. Simpson, proponendo la sua immagine di cattivo padre e marito, anche in ragione delle passate denunce per maltrattamenti presentate dalla ex moglie Nicole.
La difesa:
I difensori minano la credibilità delle prove raccolte a carico dell’imputato, costruendo la narrazione su un elemento che diverrà il filo rosso della linea difensiva, ovvero la discriminazione razziale. L’ex giocatore di football infatti era ricco e famoso ma soprattutto afroamericano, e per questo i poliziotti coinvolti, prevalentemente bianchi, secondo la difesa sarebbero stati intenzionati a incastrarlo, nonostante la sua innocenza. In particolare, l’attenzione dei difensori si concentrò sulla figura di Mark Fuhrman, l’investigatore bianco che aveva rinvenuto i guanti insanguinati sulla scena del crimine: in passato si era reso protagonista di episodi di razzismo e discriminazioni, documentati da registrazioni in cui insultava la comunità nera e affermava che, quando si è certi della colpevolezza di qualcuno, «…in qualche modo le prove saltano fuori».
A seguito della pubblicazione degli audio, il detective fu richiamato a testimoniare dalla difesa, ma si avvalse della facoltà di non rispondere, opponendo il silenzio anche alla domanda cruciale su un’eventuale manipolazione delle prove a carico. Così, una delle prove principali dell’accusa (i guanti insanguinati) perse molta credibilità dopo che la difesa insinuò nella giuria il sospetto che Fuhrman li avesse messi deliberatamente sulla scena del crimine.
Un autogol dell’accusa arrivò inoltre quando uno dei procuratori decise di far indossare in aula, a O. J., i guanti rinvenuti dal detective, che si rivelarono tuttavia troppo piccoli per le mani dell’imputato. Da quel momento, divenne iconica la frase pronunciata dal difensore Cochran: «If it doesn’t fit, you must acquit» (se non calzano, dovete assolverlo). Per quanto riguarda poi le tracce di sangue rinvenute nell’auto e sotto le unghie delle vittime, la difesa dimostrò che le analisi del DNA non erano state eseguite seguendo con rigore i protocolli ufficiali, suggerendo così una possibile – seppur remota – alterazione o contaminazione delle prove.
Com’è finita?
Il 3 ottobre 1995, dopo 253 giorni di processo, la giuria emette il verdetto di «non colpevole» sentenziando l’innocenza di O.J. Simpson, mancando elementi per condannare l’imputato «beyond a reasonable doubt». Il 18 settembre 1996 ha però avuto inizio il processo civile per danni intentato dai familiari delle vittime, all’esito del quale, il 4 febbraio 1997, la giuria all’unanimità decide di ribaltare il verdetto penale.
Come si spiega?
Nel processo civile non è necessario andare oltre ogni ragionevole dubbio, e tanto è bastato per giudicare O.J. Simpson responsabile dei due omicidi, assegnando alle famiglie un risarcimento di 67 milioni di dollari, anche per danni punitivi (punitive damages).
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