Quando il 24 febbraio dello scorso anno Vladimir Putin invia le truppe e i tank russi in Ucraina, dopo averli ammassati per settimane ai confini del Paese, della decisione di invadere il Paese guidato da Volodymyr Zelensky non ne era a conoscenza neanche il suo fedele ministro degli Esteri Sergei Lavrov.

Lo racconta oggi un retroscena pubblicato dal Financial Times in occasione del primo anniversario del conflitto in Ucraina, una lunga inchiesta su come dal Cremlino si sia arrivati alla guerra basandosi su sei fonti vicine al presidente russo.

L’operazione militare speciale, come ancora oggi la definisce Putin, è nata in un circolo ristrettissimo e praticamente nessuno nelle alte sfere russe si aspettava realmente una scelta simile.

Lavrov riceve una telefonata nel cuore della notte del 24 febbraio 2022, gli viene comunicato l’ordine impartito da Putin di invadere l’Ucraina. Il giorno seguente si reca al Cremlino, dove sono presenti alcuni oligarchi “vicini” al presidente e che temono come il conflitto possa distruggere i loro affari e le loro fortune.

A chi gli chiede come sia stata possibile una tale escalation, Lavrov, scrive il Financial Times risponderebbe così: “Putin ha soltanto tre consiglieri: Ivan il Terribile, Pietro il Grande e Caterina la Grande”.

I tre più grandi Zar della storia russa, con un quarto che avrà il compito di rendere la Russia “Great again”, come direbbe Donald Trump: Putin stesso.

Tenere Lavrov all’oscuro “non era insolito per Putin, che tendeva a concentrare le sue decisioni di politica estera tra una manciata di stretti confidenti, anche quando ciò minava gli sforzi diplomatici della Russia”, scrive il Financial Times ricostruendo il ‘cerchio magico’ di Putin.

Paradossalmente però quella telefonata notturna rese il ministro Lavrov “una delle pochissime persone a conoscenza del piano in anticipo” mentre “tutti gli alti dirigenti del Cremlino seppero dell’invasione solo quando videro Putin dichiarare una ‘operazione militare speciale’ in televisione quella mattina“.

Un Putin, racconta il quotidiano della City di Londra, sempre più isolato dopo due anni trascorsi da solo o quasi nella sua dacia fuori dalla capitale Mosca per il pericolo di venire colpito dal Covid-19.

Un isolamento che ha spinto il leader del Cremlino da una parte a circondarsi di soli “yes men”, funzionari deboli e pronti a tutto per restare nelle grazie del capo, anche a nascondere problemi e sconfitte, e dall’altra a sviluppare un crescente “nazionalismo messianico”, col numero uno del Cremlino unico leader in grado di ricostruire una “Grande Russia”, allargando la sua sfera d’influenza sui Paesi dell’ex blocco sovietico come l’Ucraina.

Avatar photo

Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia