La giustizia italiana si è rivelata più volte fallibile: ogni anno sono numerosissimi i casi di errori giudiziari che causano anche la detenzione ingiusta, a volte anche per anni. Altre volte la custodia cautelare dura mesi, anche anni, giorni di vita strappati ingiustamente a qualcuno che poi il Tribunale stesso dichiara innocente. La legge italiana prevede però un risarcimento per ingiusta detenzione. È la stessa Costituzione italiana ad affermare che la legge deve determinare le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

Certo nessuno potrà mai restituire anni di vita persi e il marchio che una detenzione può stampare a vita su una persona però il procedimento esiste e costa ogni anno allo stato milioni di euro. Basti pensare che solo nel 2018 sono state 895 le ordinanze di pagamenti delle riparazioni per ingiusta detenzione, per un totale di 33.373.830 euro risarciti. Il ministero delle Economie e delle Finanze ogni anno dovrebbe rendere noti quanti soldi pubblici sono stati destinati a questo tipo di risarcimento ma trovare tali dati è molto difficile.

Come si calcola la cifra del risarcimento?
La legge pone un limite massimo all’entità del risarcimento per ingiusta detenzione: l’importo della riparazione non può mai eccedere la cifra di 516.456,90 euro. Fare un calcolo aritmetico di una simile cifra è impossibile perché per ogni caso sono tantissime le varianti che ne possono determinare l’importo. “Ad esempio il numero dei detenuti presenti in cella durante il periodo di detenzione, le condizioni della detenzione stessa, il reato imputato, la lontananza dalla famiglia a cui la persona è stata costretta e tanti altri ancora”, spiega Samuele Ciambriello Garante dei detenuti della Regione Campania.

Secondo un criterio aritmetico di ideazione giurisprudenziale, la somma indennizzabile per ogni giorno di ingiusta detenzione è di 235,82 euro. A tale importo si giunge dividendo l’importo massimo stabilito dalla legge (516.456,90 euro) per la durata massima della custodia cautelare in carcere, che è di sei anni. In pratica, il risarcimento spettante per ogni giorno di ingiusta detenzione si ottiene dividendo l’importo massimo indennizzabile per il termine di sei anni espresso in giorni. Si avrà, pertanto: 516.456,90 diviso 2190 (giorni in sei anni) = 235,82.

Di conseguenza, se una persona è stata ingiustamente vittima di una misura cautelare per un anno, il risarcimento per ingiusta detenzione sarà pari a 86.074,30 euro (risultato di 235,82 moltiplicato per 365 giorni). “Qualsiasi cifra però non basterà a compensare tutti i danni che una detenzione può apportare – continua Ciambriello – basti pensare alla diffusione di notizie a mezzo stampa o social. Non ci sarà nessun risarcimento per quello, una volta che sei stato messo alla gogna ci rimani”. Il garante spiega che molte delle persone che hanno diritto al risarcimento spesso non lo chiedono nemmeno: “Una volta usciti dalla cerchia della giustizia non hanno voglia di rientrarci, di richiamare un avvocato e avere a che fare con giudici”. Dunque i soldi che lo stato dovrebbe spendere per errori giudiziari sarebbero molti di più di quelli dichiarati.

Chi ha diritto a richiedere il risarcimento per ingiusta detenzione?
Ne hanno diritto le persone che pur non essendo state condannate abbiano subito una restrizione della propria libertà a causa di un procedimento del giudice e sia stato posto agli arresti domiciliari o alla custodia cautelare carceraria e alla fine del processo è risultato innocente. Di seguito i casi riportati sul sito del Ministero delle economie e Finanze.

  • Chi è stato sottoposto a custodia cautelare e, successivamente, è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, se non ha concorso a darvi causa per dolo o colpa grave;
  • chi é stato sottoposto a custodia cautelare e, successivamente, è stato prosciolto per qualsiasi causa quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento di custodia cautelare è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 del codice di procedura penale;
  • chi è stato condannato e nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare quando, con decisione irrevocabile, risulti accertato che il provvedimento di custodia cautelare è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 del codice di procedura penale;
  • chi è stato sottoposto a custodia cautelare e, successivamente, a suo favore sia stato pronunciato un provvedimento di archiviazione o una sentenza di non luogo a procedere;
  • chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per custodia cautelare;
  • chi è stato prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida

Come e dove presentare la domanda?
La domanda (qui il modulo scaricabile) presso la Cancelleria della Corte d’Appello del distretto giudiziario in cui è stata pronunciata la sentenza o il provvedimento di archiviazione che ha definito il procedimento; nel caso di sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, la domanda deve essere proposta presso la cancelleria della Corte d’Appello che ha emesso il provvedimento impugnato.  A consegnarla dovrà essere personalmente dall’interessato oppure a mezzo di procuratore speciale o avvocato. Va consegnata entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o il provvedimento di archiviazione è stato notificato alla persona nei cui confronti è stato pronunciato.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.