L’approfondimento che PQM propone questa settimana riguarda la Corte Costituzionale, cioè l’istituzione che ha il fondamentale compito di controllare che le leggi, nella loro testualità e nella loro concreta interpretazione, siano conformi ai principi costituzionali, e dunque rispettosi del patto sociale sul quale si fonda la nostra vita democratica. Sui temi della giustizia penale, che a noi stanno particolarmente a cuore, registriamo da tempo un doppio registro negli orientamenti e nelle decisioni della Corte, a seconda che essa debba esprimersi sul diritto penale sostanziale (i reati e l’interpretazione delle relative norme), o invece sulle norme che regolano il processo penale.

Nel primo caso, assistiamo a decisioni quasi sempre ispirate ad un rigoroso controllo della legalità costituzionale, ed ai valori democratici che essa esprime, con sentenze spesso coraggiose ed anzi anticipatorie della evoluzione di costumi e comportamenti sociali che fanno crescere il grado di civiltà del paese. Più in particolare, apprezziamo la costante difesa da parte della Corte del principio di legalità quale limite, più volte severamente richiamato, al creazionismo giudiziario, cioè alla costante pulsione dei giudici nostrani verso un uso anomalo del potere di interpretazione delle leggi, fino alla loro sostanziale, indebita riscrittura. Tutt’altra storia, invece, quando si parla di processo penale. Da quando la riforma Vassalli del 1988 ha introdotto nel nostro paese il processo accusatorio in luogo di quello inquisitorio, la Corte Costituzionale si è impegnata essa per prima a frenarne lo spirito riformatore, dando troppo frequentemente seguito agli oppositori della riforma, con la magistratura in prima linea.

Una ostilità verso i canoni del processo accusatorio talmente evidente che un legislatore per una volta coraggioso e determinato dovette riscrivere nel 1999 la norma costituzionale sul “giusto processo” (art. 111) quasi a voler costringere la Corte a prendere atto della forza primaria ed inderogabile di quei principi processuali. Una decisione del legislatore che -come ci ricorda il Prof. Zanon, prestigioso giudice costituzionale appena cessato dalla carica- oggi, con l’attuale qualità del Parlamento e della politica, farebbe gridare al golpe. Domanda: è bastata quella riforma costituzionale a far accettare alla Corte l’idea che nel nostro paese vogliamo un giusto processo, fondato sulla parità tra le parti e sulla centralità del diritto di difesa?

Nossignore, a noi non pare (con la felice eccezione del periodo segnato dalla presenza in Corte di Giuseppe Frigo). E quindi vogliamo aprire questa riflessione, per interrogarci tutti sulle ragioni di questa ostilità culturale, e più in generale sul buon funzionamento di questa cruciale istituzione democratica. E vuole essere, questo, solo il primo capitolo di una riflessione che merita di proseguire (per esempio occupandoci delle non sempre uniformi decisioni adottate in tema di conflitto di attribuzione), perché è doveroso interrogarsi sui due volti della Corte, ora rigoroso giudice delle leggi, ora sorprendente giudice politico. Buona lettura.

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Avvocato