Un filo di voce, come il mormorio di Dio avvertito dal profeta Elia sulla montagna (cfr. 1Re 19).  Così appare oggi la voce di Papa Francesco: flebile, quasi inafferrabile, eppure capace di squarciare il frastuono del mondo.

Un soffio che resiste, una parola che, pur indebolita, continua a esserci: pochi secondi di audio hanno rassicurato e, al tempo stesso, accresciuto la preoccupazione per la sua salute tenuta anch’essa sul filo di lana, su fragili equilibri. Ma, direbbe San Paolo, è nella debolezza che si manifesta la forza di un messaggio e quelle parole hanno anche testimoniato la sua presenza.  Il Papa c’è, nonostante le urla e le minacce di un mondo inquieto.

La voce di Francesco ci manca, è inutile negarlo: mancano i suoi gesti spontanei, le sue parole che spesso disorientano e fanno discutere, ma che sempre hanno il potere di richiamare al cuore del Vangelo.

E tuttavia il  suo silenzio, ora, è un segno eloquente: non di resa, ma di affidamento. La sua voce assente è essa stessa quel “martirio del silenzio” e della diplomazia (come lo definì il cardinale Agostino Casaroli ai tempi di Giovanni Paolo II)  che proprio nei momenti più difficili parla più di mille discorsi.

E non potrebbe essere più emblematico che questo accada oggi, in un frangente che il premier britannico Keir Starmer ha definito “crossroads of the history”, un bivio storico non eliminabile. Un passaggio certamente per il mondo, lacerato da conflitti e da un riarmo globale che evoca spettri che pensavamo sepolti. E lo è per la Chiesa chiamata a un discernimento profondo, a interrogarsi sul suo ruolo in un tempo di crisi. In questo scenario, la figura del Papa si staglia con una forza paradossale: è un sibilo che grida nel deserto di un mondo pronto a minacciarsi e a colpire, un’eco che invita alla pace mentre la guerra si fa sempre più prossima.

Eppure, la sua voce, così fragile, così flebile, continua a indicare una via: Francesco ha parlato tante volte della necessità di negoziare, di trovare soluzioni che salvaguardino la giustizia senza precipitare nell’abisso del conflitto. Ma le sue parole sono state spesso fraintese, quasi fossero un invito alla resa. Al contrario, il Papa sa bene che la pace non è mai una resa, ma un’arte difficile, che chiede coraggio e pazienza, fermezza e dialogo anche senza strepiti e altisonanti discorsi. E oggi, pur con la voce spezzata (come una “pausa” musicale che è essa stessa scritta nel pentagramma) Bergoglio continua a ricordarci – come Publilio Siro in una delle sue circa settecento Sentenze a noi pervenute – che  ci si può pentire spesso di aver parlato ma mai di aver taciuto”.

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classe '76, docente al liceo e giornalista, si affida a questo mantra: l’occhio vede, la mente ordina, ma è il discernimento a stabilire il senso"