“La Cassazione ha detto che la nostra casa non doveva essere abbattuta ma le ruspe hanno già fatto il loro lavoro e della nostra casa, costruita con tanti sacrifici, non resta che un cumulo di macerie. Così come del nostro cuore”. Così la famiglia Cioce commenta la sentenza della Cassazione appena pubblicata, che ha accolto il ricorso dell’avvocato Bruno Molinaro che ha seguito la vicenda della casa ritenuta abusiva.  Tre righe durissime rispetto all’operato dei giudici di Appello: “Nel caso in disamina, il giudice di merito non ha ritenuto di disporre neppure la sospensione, pur non essendo ancora esaurita la procedura di condono edilizio e pur ritenendo che la proposta di riperimetrazione delle aree sottoposte a vincolo non fosse definita e completa”, si legge nella sentenza numero 42624 del 23 settembre 2022 che “annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Napoli”.

“Villa Pina. 1992 A.Cioce” si leggeva a colori sulla facciata della palazzina costruita dai Cioce in via Brigata Bologna, a Fuorigrotta, quartiere di Napoli. La villetta era a ridosso della collina di Posillipo ed è lì che 30 anni fa nonno Antonio, capostipite di una famiglia di 7 figli e 14 nipoti, iniziò la costruzione della casa in cui avrebbe accolto tutti i suoi. In quella casa è raccolta un vita di sacrifici, mattone dopo mattone che dedicò a sua moglie Pina. Trenta anni dopo, con utenze accordate e bollette e condoni pagati, a novembre 2021 arriva la notifica di sgombero. La casa andava abbattuta perché costruita in un territorio a rischio idrogeologico.

La famiglia ha lottato strenuamente contro una miriade di problemi burocratici e tecnici per dimostrare che la loro casa non insisteva su un terreno a rischio idrogeologico. A colpi di perizie, costate tanti soldi, e di proteste, la famiglia era riuscita ad ottenere “esito positivo” per l’avvio della “procedura di aggiornamento delle mappe del Piano Stralcio di Assetto Idrogeologico dell’Autorità di Bacino”. Aveva anche proposto l’autodemolizione dei volumi in più della struttura al fine di ottenere un favorevole giudizio di condonabilità. Ma quando tutto sembrava che stesse andando per il verso giusto, sono arrivate le ruspe sotto casa loro. E non c’è stato nulla da fare. La casa, costruita con una vita di sacrifici è stata buttata giù in poche ore.

“Nulla ha potuto – ha dichiarato l’avvocato Molinarol’istanza di sospensione che presentammo a cui i giudici incredibilmente non hanno mai nemmeno risposto, pur avendo acquisito copia del ricorso per Cassazione nel giugno scorso. Eppure i tempi per risolvere il problema del vincolo idrogeologico e la questione condono erano brevi. Per la prima volta in Italia la Cassazione bacchetta i giudici dell’Appello per non aver sospeso l’esecuzione della demolizione effettuata nelle more del giudizio. La Procura intanto era andata avanti forte della ordinanza illegittima della Corte territoriale e aveva proceduto senza indugio, quale stazione appaltante, alla eliminazione delle opere. Una esecuzione che non teneva conto nemmeno dei problemi della famiglia, con un nonno anziano e allettato e una bambina piccola, che non sapevano dove andare”.

L’avvocato aveva fatto ricorso e impugnato l’ordinanza che stabiliva la demolizione ma non è servito a nulla. “Citeremo per danni lo Stato italiano per l’errore giudiziario commesso dai giudici della Corte d’Appello  – continua il legale – per non avere questi ultimi inteso salvaguardare il bene della vita invocato quale causa di incompatibilità con l’abbattimento e, quel che è più grave, per aver omesso ogni valutazione, positiva o negativa, della istanza di sospensione presentata dopo la proposizione del ricorso per Cassazione, nonostante il pericolo di pregiudizio grave e irreparabile. Una condotta inspiegabile, sbagliata e disumana”. E che la Cassazione ha bocciato, ma era ormai già troppo tardi.

“In Italia, più dei politici e dei grandi burocrati, sono i magistrati a detenere le leve del potere – continua Molinaro – perché, salvo casi limite, dietro lo scudo della interpretazione delle norme non rispondono mai dei loro errori. Ed è paradossale che chiunque faccia un qualsiasi lavoro, come anche l’avvocato, il medico o l’ingegnere, se sbaglia paga, nel mentre ciò non vale per i magistrati tranne che in caso di dolo o colpa grave. Eppure la Corte di giustizia UE qualche anno fa ha pesantemente stigmatizzato il comportamento lassista ed omissivo dell’Italia sul tema ma la successiva legge del 2015 ha solo rappresentato un timido tentativo di affrontare il problema. Nella vicenda della famiglia Cioce, oltre ad una casa in macerie, ci sono vite umane distrutte. Non è tanto un danno economico quello che hanno subito quanto umano e morale. E questo è sicuramente irreparabile. È come se inermi fossero stati messi davanti a un plotone di esecuzione”.

L’avvocato nel commentare la vicenda è amarissimo: “Quello che è successo alla famiglia Cioce dovrebbe indurre i nostri governanti a fare una riflessione: di tutto questo chi risponde? I giudici o i cittadini? Talvolta i giudici chiamati in causa dicono di essere assicurati, ma le loro coscienze possono essere garantite da una polizza? A questo si aggiunge, nella situazione dei Cioce, anche il costo rilevantissimo della demolizione subita, che alla fine graverà sui cittadini”.

 

Per la famiglia Cioce si è trattato di una vera e propria via crucis a tappe. Lo sgombero è iniziato il 16 novembre, poi il 10 maggio hanno iniziato la demolizione e il 5 giugno era tutto finito. La casa non c’era più, al suo posto solo uno striscione con su scritto: “Casa Cioce demolita per errore burocratico”. “Ci hanno buttati fuori casa con il nonno anziano e allettato e una neonata – raccontano i Cioce – Al nonno avevano proposto il ricovero in ospedale, a mamma e neonata una casa famiglia. Nonna e uno dei suoi figli non sapevano dove andare, e lei ha anche avuto un infarto, non è in salute. Ma ora sentiamo che almeno un po’ di giustizia è stata fatta. Lo dobbiamo al nonno Antonio, un onesto lavoratore che ha sofferto tantissimo nel vedere quella casa crollare”.

I Cioce non hanno mai mollato nemmeno per un istante la loro battaglia. Nemmeno davanti alle ruspe. “Quando sono arrivate e hanno iniziato ad abbattere ho pianto come una bambina, è stato un dolore troppo grande – racconta nonna Pina – Un dolore enorme anche per i bambini che si sono visti togliere quello che per loro era come un parco giochi. Hanno sofferto tanto, le maestre ci raccontavano che a volte li vedevano come persi. La nostra fortuna è stata quella di essere una grande famiglia unita. Ci siamo dati man forte a vicenda, anche nei momenti più bui. E non abbiamo mai perso la speranza. Ringraziamo con tutto il cuore l’avvocato Molinaro che ci è sempre stato vicino come una persona di famiglia, che ci ha sempre sopportato e supportato”.

Nonna Pina racconta di quando suo marito tornava dal lavoro e si metteva a spianare quella zona del terreno acquistato, a mano con la pala. È come se sentisse ancora l’odore acre di quel sudore e delle mani che mettevano mattone su mattone per alzare mura. “Non ci siamo fatti mai un viaggio, mai uno sfizio: tutto quello che guadagnavamo era per la nostra casa, il nostro sogno – continua la nonna – Nessuno credeva che avevamo ragione. Quello che abbiamo passato, la sofferenza, l’ansia nel vedere buttata giù la casa non lo posso descrivere. Nemmeno tutto l’oro del mondo potrà ripagare tutto questo dolore”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.