Qualsiasi nome segnerà una svolta
Quirinale una nuova fase, lo sia anche per la Campania deserto di idee e partiti
Complice anche la spasmodica attesa che il picco pandemico sia alle nostre spalle e che scolliniamo verso più tranquilli lidi primaverili, le ore che ci separano dalle prime votazioni per l’elezione del nuovo Capo dello Stato appaiono di trepidante attesa. Un’attesa che non pare integralmente spiegabile nell’importanza della carica. Senza scomodare l’arduo concetto della sincronicità, ci sono nella storia politica e sociale di un paese momenti in cui eventi scollegati sembrano coordinarsi e convergere, o un evento ordinario sembra assumere un significato straordinario.
Ricordo distintamene sei elezioni presidenziali, ma neanche nella drammatica finestra tra la strage di Capaci, 23 maggio 1992, e l’elezione di Scalfaro, del 28 maggio, che da quella strage fu determinata, c’era il senso di una sospensione che si avverte oggi. Eppure erano giorni senz’altro più drammatici. Ripetiamo: non dubitiamo che la pandemia ha il suo ruolo sul piano della psicologia collettiva, ma la sensazione forte è che dopo l’elezione del prossimo Presidente quasi nulla sarà come prima nel quadro politico-istituzionale italiano. Nessuna elezione precedente lasciava presagire tanto, anche se con Scalfaro avvenne, con un ruolo non secondario della Presidenza della Repubblica. Molto cambierà a prescindere da come finirà, ed in particolare se Draghi sarà o no chiamato a ricoprire la carica. Qualunque soluzione sarà altamente significativa e gravida di sviluppi, effetti e reazioni. Il giorno dopo si metteranno in moto movimenti di ogni genere e su ogni piano. Processi politici e istituzionali lungamente rinviati, scelte giuridiche e politiche rimandate, energie compresse, e sul piano politico si produrranno a ritmo accelerato disaggregazioni e riaggregazioni, e tanti nodi verranno al pettine.
Ciò avverrà anche perché il parlamento attuale è l’ultimo a 945 membri e che il prossimo sarà a ranghi ridotti e prodotto in ogni caso da un nuovo terremoto politico. Le fibrillazioni che verranno difficilmente saranno gestibili dalla classe politica di questi anni. Se Draghi dovesse essere eletto al Quirinale sarà complicato trovare un modus operanti fino a fine legislatura, se non ci dovesse andare bisognerà comprendere il senso di questa scelta del parlamento in seduta comune. Si aprirà una fase in cui accanto alla prosecuzione dell’attuazione del PNRR e della campagna vaccinale, verranno messi in discussione legge elettorale e regionalismo (a partire dal sistema sanitario), asset fondamentali del gioco istituzionale italiano. Ma ci sarà soprattutto un “redde rationem” nei partiti, una stagione di congressi, dovranno essere prese delle decisioni.
Su questo piano è evidente che nessuna regione ha bisogno, quanto la Campania, di voltare pagina. Con Napoli, può piacere o no, il tentativo è in corso. Alla Regione appare impensabile di poter andare avanti così per tre anni e mezzo. L’elezione di De Luca, del tutto casuale, è figlia di un’epoca ormai alle nostre spalle. Abbiamo un Consiglio regionale afono e asservito ad un Presidente di Giunta che è in lotta con il mondo intero. Nella società campana ci sono zero partiti vitali e zero gruppi dirigenti. C’è da riannodare un rapporto tra i campani e la politica, c’è da fare un grande lavoro sociale e civile, e la discussione sulla legge elettorale nazionale deve convergere verso soluzioni volte a favorire un rapporto stabile e costante tra la rappresentanza, i territori e le articolazioni della società. Oggi intere porzioni della Campania sono abbandonate a se stesse, senza un’adeguata rappresentanza. Le colpe sono tante e a vari livelli. A questa foresta pietrificata va ridata nuova linfa. Chi pensa che si possa trascinare questo presente per anni o è matto o non vuole il bene della Regione.
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