Al di là delle sentenze, quando la magistratura avverte l’esigenza di comunicare con la società o con altre istituzioni utilizza i due canali dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) e del Consiglio superiore della magistratura (Csm). Le sciagurate vicende di corruzione e di malcostume giudiziario venute alla luce attraverso lo scandalo Palamara hanno inciso negativamente (e speriamo temporaneamente) sulla credibilità e l’affidabilità di questi due canali, ma per fortuna esiste una terza istanza idonea a portare all’esterno la voce della magistratura. Si tratta del ministro della Giustizia, carica attualmente ricoperta da una costituzionalista di indiscussa preparazione e prestigio quale è Marta Cartabia.

Ebbene, di fronte alla crisi che sta attraversando la magistratura italiana – senza dubbio la più grave dell’intero periodo repubblicano – l’attuale ministra della Giustizia ha avvertito l’esigenza di rilasciare un’intervista a tutto campo pubblicata domenica scorsa su La Stampa, come per rassicurare l’opinione pubblica che, grazie a necessarie e opportune riforme, giustizia e magistratura continueranno a svolgere la loro funzione di caposaldi irrinunciabili dell’ordinamento democratico. In occasione dell’anniversario della Liberazione Marta Cartabia ha evocato il “patto fondativo” della Repubblica italiana tra forze politiche profondamente diverse e in contrasto tra loro, ma sorrette dal comune obiettivo di dotare la nazione di un’ottima Costituzione, che tuttora ci governa. Costituzione che esprime appunto il momento di equilibrio tra le contrapposte esigenze dei tre principali schieramenti politici presenti nell’Assemblea Costituente – socialcomunisti, democratici cristiani e liberali; equilibrio ora richiamato dalla ministra Cartabia in vista di un pacchetto di riforme ispirate dall’obiettivo comune di avere una giustizia rapida e amministrata da magistrati credibili.

Marta Cartabia ha nominato commissioni di giuristi – magistrati, professori, avvocati – per affrontare e discutere insieme i principali nodi della crisi della giustizia, dalla logica spartitoria che attualmente connota l’attività delle “correnti” nell’attribuzione degli incarichi direttivi ai vari rimedi indispensabili per realizzare l’obbiettivo di una giustizia rapida: istituzione dell’ufficio del processo, formato da giovani laureati in giurisprudenza chiamati a coadiuvare giudici e pubblici ministeri nella loro attività quotidiana; aumento di 11.000 unità degli organici del personale amministrativo nel prossimo triennio; aumento del numero dei magistrati in rapporto alla popolazione; riforme del processo penale, civile e tributario; potenziamento di forme alternative di risoluzione delle controversie, quali l’arbitrato, la negoziazione assistita e la mediazione. Non ultima, evidentemente, è la riforma del Csm, a cui vorrei dedicare particolare attenzione.

L’obiettivo principale dei costituenti fu di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura dal potere politico, in radicale antitesi con la situazione – di fatto e anche in diritto per il pubblico ministero – di sostanziale dipendenza dal potere esecutivo durante lo stato liberale e poi, soprattutto, nel periodo fascista. Questo obiettivo si è tradotto nell’istituzione di un Csm formato per due terzi da componenti togati, eletti tra le varie categorie di magistrati, e per un terzo da componenti laici – professori e avvocati – eletti dal Parlamento. Ebbene, con il trascorrere degli anni e con la progressiva crisi del sistema politico nel Csm è specularmente aumentata l’incidenza dei magistrati, sino a forme di esasperata autotutela corporativa e di impropri rapporti con esponenti dei partiti.

Si pone quindi il problema della riforma dell’organo di autogoverno della magistratura, che comporta necessariamente una modifica costituzionale. Se ne occuperà una apposita commissione istituita dalla ministra della giustizia, e non è questa la sede per entrare nei particolari. È comunque auspicabile che nel futuro Csm i magistrati non siano più in maggioranza e che il relativo sistema elettorale sia strutturato in maniera tale da escludere l’attuale degenerazione correntizia. Al fine di evitare un’eccessiva politicizzazione, dannosa tanto quanto lo strapotere delle correnti tra i magistrati, i componenti laici non dovrebbero più essere eletti dal Parlamento e non dovrebbero necessariamente essere tutti professori di materie giuridiche e avvocati; esponenti di rilievo della società civile potrebbero svolgere un ruolo positivo per evitare forme di autotutela corporativa capaci di estendersi dai magistrati al più vasto e altrettanto pericoloso ceto dei giuristi.