Le ultime elezioni amministrative qualche lezione nazionale l’hanno data. I populisti spariscono, i sovranisti crollano. All’area governista che si impernia sul Pd manca un contrappeso liberale e riformista, oggi frammentata. Su questo punto si è svolto alla Camera il convegno indetto da Riformismo e Libertà sulle prospettive del riformismo.
La relazione introduttiva è stata svolta da Fabrizio Cicchitto, le conclusioni da Umberto Ranieri. Fra gli altri sono intervenuti l’on. Enrico Costa, il senatore Riccardo Nencini, Marco Bentivogli, Claudio Signorile, Massimo Teodori, Biagio Marzo, Bobo Craxi, Peppino Calderisi, Ettore Incalza e Gianfranco Polillo.
Parafrasando un celebre detto “socialisme ou barbarie” si è affermato nel corso della riunione che oggi in Italia e nel mondo l’alternativa è fra il riformismo e l’imbarbarimento della società e dello Stato. In Italia il riformismo è stato demonizzato dagli anni Venti fino agli anni Ottanta, all’interno della sinistra e dalla destra. Poi quando è crollato il comunismo tutti si sono detti riformisti. Però questa scelta così generalizzata è stata tutt’altro che genuina. Per di più una volta crollato il comunismo i grandi gruppi industriali, finanziari ed editoriali, hanno ritenuto che i partiti fossero diventati del tutto superflui, e da qui è nata prima l’anti-partitocrazia e poi l’anti-politica. Si sarebbe potuto rispondere a questa scelta se nel PDS si fosse affermata la linea dei miglioristi che proposero di realizzare insieme al PSI di Craxi un grande partito socialdemocratico e riformista.
I “ragazzi di Berlinguer” (Occhetto, D’Alema, Veltroni) fecero una scelta di segno opposto. “E ne uscì fuori un partito post comunista di stampo giustizialista e neoliberista. Il risultato di tutto ciò fu la distruzione del PSI, del centrodestra della DC, e dei partiti laici”, dice Fabrizio Cicchitto al Riformista. Però il PDS non conquistò il potere e si sviluppò dal 1994 al 2013 una democrazia dello scontro frontale tra berlusconiani e anti-berlusconiani. Anche questo tipo di dialettica entrò in crisi in seguito alla crisi economico finanziaria del 2007-2011. Di conseguenza si sono affermate in Italia due forze sovraniste e populiste come la Lega Nord e il M5S. Però anche questo tipo di dialettica è entrata in crisi e così si è arrivati al paradosso di un governo presieduto da Draghi con il concorso di forze contrapposte quali da un lato il PD e dall’altro lato la Lega, con la crisi globale in atto del M5S.
Il paradosso italiano con cui oggi abbiamo a che fare è presto detto: il governo Draghi potrà ben essere la quintessenza del riformismo ma la maggior parte delle forze politiche che lo sostengono sono molto lontane dal riformismo e dal garantismo. I partecipanti all’incontro si sono ritrovati nell’impegno per lavorare a costruire una piattaforma rigorosamente riformista, liberal socialista e garantista. Parole magiche che mirano ad aggregare la parte significativa del PD e altre forze emerse in questo periodo, (come ha dimostrato la battaglia di Calenda alle amministrative romane) con Italia Viva, Più Europa e i civici che quando si mettono insieme riescono ad imporsi sul centrodestra. «Non dobbiamo fermarci alle osservazioni di politica interna», ha però fatto osservare Biagio Marzo. «Lo scenario internazionale apre a prospettive diverse, a una logica di equilibrio mondiale che fatica a ritrovare una via, dopo Yalta. In Francia noi riformisti l’anno prossimo tifiamo per Emmanuel Macron o per Anne Hidalgo?», si è chiesto Marzo. Talvolta la collocazione internazionale aiuta a fare chiarezza. O mette davanti a insanabili contraddizioni.
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