La smentita
Rosato sta con Calenda: “Apprezzo Forza Italia, ma non lascio Azione. Porte aperte a riformisti e libdem”
Il vicesegretario smentisce l’addio al partito di Calenda: “Continuo a lavorare per il suo consolidamento”. E scommette sul 2027: “Sfida tra chi pensa che l’Europa è casa nostra e chi sposa il metodo populista”

Chi vuol capire capisca. Non annuncia niente apertamente, ma lascia intendere cosa ha in mente. Ettore Rosato, vicesegretario di Azione, non passerà in Forza Italia e resterà nel partito di Carlo Calenda. E per questo prima rilancia: no al campo largo, porte aperte ai riformisti. E poi scommette: alle prossime elezioni politiche ci saranno dei cambiamenti nelle coalizioni, non saranno identiche a quelle del 2022.
Rosato, non passa in Forza Italia: smentisce quindi quanto detto negli scorsi giorni dai giornali?
«Io continuo a lavorare al consolidamento di Azione, anche perché rimango fedele al progetto politico che ci ha portato in Parlamento per essere alternativi ai populismi di destra e sinistra e nel tentativo di stringere i rapporti con i riformisti che nelle due coalizioni lavorano».
Però non è la prima volta che i giornali fanno questa ipotesi su di lei…
«Forza Italia è un partito di cui apprezzo la posizione e di cui condivido anche alcune scelte, a cominciare dal posizionamento sull’Ucraina».
Per Azione, quindi, Forza Italia è un possibile alleato con cui ragionare su temi in comune?
«Assolutamente sì, non si lavora da soli ma lo si fa dialogando. Così come lo vedo possibile con i riformisti del Partito democratico, quelli che – per intenderci – sono minoranza nel Pd, purtroppo spesso timidi e silenziosi».
Dunque alle prossime elezioni politiche dobbiamo aspettarci un raggruppamento tra Azione, Forza Italia e il pezzo riformista del Pd?
«Io penso che la prossima volta ci sarà un confronto tra chi pensa che l’Europa è casa nostra e per questo va rafforzata, e chi pensa che il populismo sia il metodo per costruire consenso, senza però saper governare».
Lei si augura che Forza Italia si stacchi dalla coalizione in cui è presente anche la Lega?
«Ripeto: secondo me nel 2027 ci sarà una sfida tra chi pensa che europeismo e pragmatismo debbano guidare le scelte di governo e chi vuole parlare solo alla pancia degli elettori».
Marattin ha fondato un nuovo partito liberaldemocratico. Ci sarà un confronto tra voi e loro?
«Innanzitutto auguri per la nuova iniziativa. Le nostre porte sono aperte a tutti; dopodiché sicuramente non mancheranno le occasioni di confronto».
Ma volete provare ad allearvi con loro o volete direttamente inglobarli?
«Le nostre porte sono aperte a tutti quelli con cui condividiamo gli stessi valori. Punto».
Sala ha chiamato a raccolta i moderati. Azione come risponde?
«Sala vuole costruire un soggetto di centrosinistra che si allei con Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra, in un contesto che si chiama campo largo. Non è il nostro progetto».
Il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, ha sottolineato che tra i paesi del G7 l’Italia è l’unico che non si è dotato di una strategia per la sicurezza nazionale. Cosa dice a riguardo?
«È vero quello che dice Guerini. Il governo ha tutta la responsabilità di quella strategia, deve farla, come dovevano farla i governi prima di questo».
E in merito ai miliardi annunciati da von der Leyen per il piano ReArm Europe come si pronuncia? Schlein ha storto il naso, ricevendo per questo critiche dal suo stesso partito.
«La proposta di von der Leyen per me è indispensabile, anche se non esaustiva. Se permette però non le rispondo sulla Schlein…».
È una non risposta che comunque vale come una risposta.
«Se ha una linea, è difficile starle dietro: tanto per cominciare è incoerente con tutto quello che dice il partito socialista a livello europeo, da Costa a Sánchez. Il tema piuttosto è come unire il paese di fronte alle priorità che abbiamo. Penso alla costruzione della Difesa europea, all’autonomia rispetto agli Stati Uniti che dicono che dobbiamo arrangiarci. Questo richiede uno sforzo del sistema paese, non possiamo ridurci a uno sterile rumore elettorale».
Se ci dovesse essere un cambio al vertice del Pd, via la Schlein e dentro Gentiloni, il vostro atteggiamento cambierebbe?
«Non è un problema di leadership ma di cosa vuole fare il Pd. Qual è il progetto per il paese che il Pd vuole costruire con 5 Stelle e con Avs sulla politica energetica? Come si posizionano in politica estera? Quali sono le posizioni che assumono sul sistema pensionistico e sul Jobs Act? Io temo che su queste vicende la lontananza da una posizione riformista e da un orizzonte europeo e atlantico ci separi da Conte e Fratoianni e da chi la pensa come loro».
Ma a partire da questi temi, farete un appello al Pd come a dire «Staccatevi dai grillini e lavorate insieme a noi»?
«Ma servono gli appelli? Ogni partito fa delle scelte con consapevolezza: nelle prossime settimane avremo un confronto sui referendum sul lavoro ad esempio. Così come si prenderanno a breve decisioni sull’Ucraina e sul piano di riarmo voluto da von der Leyen. Non ci sono appelli da fare per i partiti ma voti da manifestare. E l’appello noi lo facciamo agli elettori delusi del Pd: vengano a darci una mano».
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