“Quando scompare una figlia, il dolore non cessa, si ha l’impressione di vivere in un mondo buio, in cui i raggi di sole sono rari. Sara era la nostra piccola, vivevamo per lei”. È Mirella Sintoni a parlare, la mamma di Sara Pedri, la ginecologa di 31 anni scomparsa nel nulla a Trento. In ogni sua parola trasuda tutto il dolore di una mamma che da un anno non sa cosa sia successo a sua figlia e nemmeno ha un corpo su cui piangere.

Sara, originaria di Forlì, scese dalla sua casa di Cles alle 6 del mattino. La sua auto è stata trovata vuota vicino al lago di Santa Giustina. Poi più nulla. Le ricerche sono continuate e continueranno ma di Sara, del suo corpo, nemmeno una traccia. Il suo ricordo resta presente, i suoi racconti, i suoi messaggi, l’hanno resa la principale protagonista di una indagine della procura di Trento che vede indagati per maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione e disciplina l’ex primario Saverio Tateo e la sua vice Liliana Mereu.

La scomparsa di Sara ha fatto scattare l’indagine e per l’accusa, diversi professionisti del reparto avrebbero subito vessazioni. Tra questi anche Sara Pedri, arrivata in Trentino a novembre e, secondo i familiari, sarebbe stata vittima di quick mobbing che l’avrebbe portata ad ammalarsi in pochi mesi. Un pensiero questo che attanaglia la mente della famiglia Pedri che sin da subito si è battuta per far emergere la verità.

Ora è passato un anno e il dolore è enorme per la mamma di Sara, Mirella Sintoni. “Pensavo di non farcela a passare un anno – ha detto, intervistata dal Corriere della Sera – Invece la vicinanza di persone che hanno partecipato col cuore a tenere viva la memoria di Sara mi ha dato conforto. In questo anno, trascorso velocemente, mio marito ed io abbiamo vissuto perché nostra figlia non fosse dimenticata per la persona che era”.

La mamma ha ricordato la figlia scomparsa sottolineando che “non esiste una foto in cui Sara non sorrida”. “Una ragazza che amava la vita e che si faceva benvolere. I colleghi di Catanzaro la ricordano per il sorriso e il tono di voce squillante, che si riconosceva nei corridoi, emblemi della sua esuberanza positiva”, ha continuato mamma Mirella. “Purtroppo Sara ha incontrato il lupo lungo la sua strada – ha detto ancora – Ma lei non era un agnello, è sempre stata forte nei 12 anni in cui ha vissuto lontano da casa. Il suo sacrificio ha sollevato un problema, a lungo nascosto, e che ha preso alla sprovvista anche noi genitori: mai avremmo pensato che, all’interno di un ospedale, nostra figlia potesse soffrire tanto da arrivare alla morte”.

Fare il medico era il sogno di Sara da sempre. Aveva sempre avuto il massimo dei voti a scuola e anche all’università. Anche dalla specialistica a Catanzaro uscì con il massimo dei voti. La mamma racconta orgogliosa la carriera della figlia che aveva lasciato casa già da 12 anni per seguire i suoi sogni. “Se l’è sempre cavata – ha detto Mirella – Aveva scelto di andare in Trentino, anche se la sua vita sentimentale era altrove, perché il lavoro veniva prima di tutto. Si sentiva orgogliosa di arrivare in un reparto rinomato come quello trentino, era convinta di aver molto da imparare. Le cose sono precipitate così velocemente che non siamo stati in grado di intervenire”.

Poi qualcosa si è incrinato. Sara ha iniziato a dimagrire e i suoi racconti erano sempre più torvi: il clima in ospedale era sempre più pesante. “Ce lo raccontava, e noi forse non volevamo credere che si fosse ridotta a pesar 6 chili in meno, a non dormir la notte, a mangiarsi le unghie. Questo è il nostro principale senso di colpa”. Un dolore lungo un anno a cui la mamma di Sara ha provato conforto con la preghiera e il supporto di tanti. “D’altronde, bisogna avere la speranza di poterla rivedere un giorno, la speranza di saperla in cielo”.

Con il miglioramento delle condizioni meteo riprenderanno anche le ricerche del corpo di Sara nel lago di Santa Giustina. “Noi abbiamo caldeggiato affinché riprendano il prima possibile – ha detto la mamma – Per come mi è stata descritta la geografia di quel luogo ostile, qualcuno pensa che il lago di Santa Giustina sia la tomba di mia figlia, che potrebbe essere impigliata e non venire a galla. È una cosa tristissima, che ho fatto fatica ad assimilare. Ad ogni modo continuiamo a sperare”.

Il 4 marzo inizieranno una serie di iniziative per ricordare Sara tra cui la piantumazione di un albero nel parco urbano di Forlì. È stato scelto un Liquidambar, un albero dalle foglie rosse, come il colore dei capelli di Sara. “Piantare un albero significa amare la vita, amare la natura, amare l’infinito, come hai amato tu, Sara. E anche quando nella nostra vita è scoppiato un uragano di dolore, da questo dolore è nato un seme e poi un albero, poi un altro seme e un albero. Così all’infinito. Ogni creatura è un essere finito che porta dentro di sé il desiderio dell’infinito. Voglio dire che Sara è vita perché è un albero e poi un seme e poi un albero. Sara è la vostra vita, la nostra vita, la mia vita”2.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.