E se alla fine l’impalcatura del cosiddetto e sedicente “centrodestra unito” non fosse altro che un castello di carte? Una struttura così fragile da precipitare con una sconfitta di misura alle regionali in Sardegna e per la (mala) gestione comunicativa delle manganellate sugli studenti di Pisa? Sia chiaro: il governo è ancora saldamente in piedi. Ma l’uno-due di questa settimana ha mutato lo scenario. E soprattutto ha cambiato la percezione dell’invincibilità del destra-centro agli occhi degli elettori. Una virata pericolosa, in tempi di leadership sempre più effimere. Le divisioni all’interno del governo sono sempre più palesi. Così come le spaccature dentro gli stessi partiti che compongono la maggioranza. Nel frattempo, l’agenda dell’esecutivo è al palo. Sullo sfondo c’è un conflitto sempre più preoccupante tra Palazzo Chigi e il Quirinale.

A proposito della road map governativa, la presidenza della Repubblica è intervenuta anche sul Piano Mattei. Un progetto ambizioso che, nelle intenzioni di Meloni, avrebbe dovuto trasformare l’Italia nell’unico ponte strategico, economico e geopolitico tra il Vecchio Continente e l’Africa. Eppure il piano che porta il nome pretenzioso del fondatore e primo presidente dell’Eni è ancora un oggetto misterioso. Una specie di Sarchiapone dai contorni oscuri e dalle fattezze astratte. Tanto che la presidenza della Repubblica ha sottolineato che “il governo italiano ha lanciato il piano per collaborare con il continente africano in una maniera che coinvolga l’intera Unione Europea”. Un invito felpato a non fare tutto da soli. Ma anche il premierato, l’altra grande scommessa di Meloni, stando ad ascoltare le voci autorevoli che conoscono il Palazzo, rischia di essere abbastanza stravolto dal Parlamento. Magari all’insegna del “famolo strano”.

La stessa battuta ripetuta quattro giorni fa, durante la maratona oratoria sul premierato alla Sala Umberto a Roma, dalla ministra per le riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati: “Qua si dice ‘lo facciamo strano’ citando il ‘famolo strano’ del film di Verdone. Noi non lo facciamo strano, ma non vorrei, vista la risposta dell’opposizione, che ‘non lo famo per niente’”. Il premierato si intreccia, in Parlamento, con altre questioni. Come la giustizia. Un campo su cui Forza Italia pretende di più. Perciò gli azzurri, nell’ultima seduta della conferenza dei capigruppo alla Camera, hanno fatto mettere all’ordine del giorno del prossimo 25 marzo l’inizio dell’esame dei ddl costituzionali sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Solo che Meloni non vuole sovrapposizioni con la madre di tutte le riforme, ovvero il premierato. “La priorità è il premierato”, va ripetendo la premier, sempre meno ascoltata. E l’immigrazione? Il patto con l’Albania rischia di essere null’altro che uno spot. Con tanto di spreco di denaro pubblico: 300 milioni di euro, secondo la Ragioneria dello Stato, tutti a carico dell’Italia.

Ma anche in Europa le grandi ambizioni di Meloni potrebbero scontrarsi con la realtà dei fatti. Il piano politico è coraggioso, ma sembra già naufragato. Pare infatti impossibile costruire una maggioranza tra Popolari e conservatori (il partito di FdI), spostando l’asse del governo europeo e a destra. L’uscente Ursula Von der Leyen, che dovrebbe essere riconfermata alla presidenza della Commissione Ue, ha già detto che non cambierà lo schema della sua prossima maggioranza. E quindi a guidare saranno ancora popolari, socialisti e liberali. Da Bruxelles alle regionali, che dovevano essere una passeggiata di salute e si stanno trasformando in un campo minato. La vittoria in Sardegna del campo largo Pd-M5s può provocare un effetto-domino.

In Abruzzo, al voto il 10 marzo, gli ultimi sondaggi parlano di un testa a testa tra il meloniano Marco Marsilio e il civico Luciano D’Amico, appoggiato da una coalizione che comprende Azione e Italia Viva, oltre a dem e grillini. La disfatta sarda ha provocato un’escalation delle tensioni interne alla Lega. La componente nordista del partito, guidata da Luca Zaia, vuole tornare alle origini del Carroccio autonomista ed è pronta a mettere in discussione Salvini dopo il probabile tonfo delle europee. Perfino in FdI si discute. Il 23 e il 24 marzo, al congresso provinciale di Roma, si sfideranno la corrente dei “gabbiani” del vice presidente della Camera Fabio Rampelli e i meloniani, guidati dalla sorella della premier, Arianna. Spuntano i primi dissidi sul territorio. Dal Veneto a Trento, fino alla Puglia. E infatti a Palazzo Chigi l’ambiente non è dei più sereni. Meloni, seppure implicitamente, ha fatto il controcanto a Sergio Mattarella sulle forze dell’Ordine.

Dopo le critiche del Quirinale alle manganellate di Pisa, FdI ha dato la colpa dell’accaduto alla sinistra. E la stessa premier ha rinculato dopo l’aggressione a una volante da parte dei centri sociali a Torino: “È pericoloso togliere il sostegno istituzionale alla Polizia”. Dal cerchio magico della presidente del Consiglio sono ancora più espliciti a taccuini chiusi: “Mattarella è il vero capo dell’opposizione”. Dall’altro lato, però, non si capisce ancora quale sia il perimetro del campo largo. Il caos è reso perfettamente dalle ultime dichiarazioni di Carlo Calenda. Il leader di Azione il 27 febbraio ha detto: “Impossibile non dialogare con Conte”. Salvo cambiare idea il giorno dopo: “Conte è un populista, dice fesserie su Zelensky, è stato un pessimo presidente del Consiglio”. Non male per un potenziale alleato.