Non è capace di intendere e di volere ma per il giudice doveva stare in carcere
Sbattuto in cella a 85 anni, Giovanni torna libero: la fine di un calvario inutile per il detenuto più anziano d’Italia
Giovanni C., 85enne, è il detenuto più anziano d’Italia. O meglio lo era fino a ieri quando nella tarda serata è stato scarcerato da Poggioreale dove era recluso da 4 mesi per maltrattamenti in famiglia. Affetto da decadimento cognitivo globale ad evoluzione cronica senza margini di miglioramento, il Detenuto necessitava e necessita a tutt’ oggi di un monitoraggio clinico e terapeutico costante, stante anche la sua veneranda età.
Il garante dei detenuti Samuele Ciambriello per mesi aveva seguito l’assurda vicenda. È andato spesso a trovarlo in carcere e ha scritto alla direzione sanitaria del carcere data la complessità nonchè la gravità delle sue condizioni di salute psico- fisica. “Giovanni, 85 anni, credo sia il detenuto più anziano d’Italia, non è capace di intendere e di volere ma è dentro per maltrattamenti in famiglia – aveva raccontato Ciambriello su Facebook – Da quattro mesi non riceve visite né telefonate, niente. Non so che dire: si può continuare a utilizzare il carcere come luogo di sicurezza sociale anche in questo caso?”.
“Lo dico – aggiunge – perché ho visto con i miei occhi l’amore, la bontà, l’attenzione degli agenti di polizia penitenziaria, che sono un front-office: devono fare da psicologi, psichiatri, da assistente, da medico, da familiari”. Insomma una situazione ormai fuori controllo, con Dap da una parte e politici e magistratura dall’altra che hanno dimostrato di non essere in grado e di non volere risolvere il problema carcere. Dalla maggiore assistenza richiesta all’interno a pene alternative per evitare di rinchiudere persone anziane o malati.
Poi finalmente la lieta notizia che Giovanni può uscire dal carcere. ‘’Esprimo il mio apprezzamento per la professionalità e la responsabilità per l’avvocato d’ufficio Maria Elena Riccardi che ha profuso notevole impegno per la soluzione del caso. Apprezzo il provvedimento del GIP, non di meno dobbiamo stigmatizzare alcune posizioni della magistratura, troppo frequenti, per l’utilizzo della custodia cautelare. Molte volte in evidenti casi di assenza di esigenze cautelari, assolutamente incompatibili con talune situazioni patologiche come nel caso di Giovanni. Il nostro auspicio, come Garante, non può non essere quello di risparmiare lunghi periodi di carcerazione quando già sia la situazione sanitaria, l’età avanzata o altro, manifestano profili di incompatibilità con il carcere e la nostra Carta Costituzionale”.
Ma come c’è finito in carcere Giovanni? Aveva un residuo di pena per il reato di maltrattamenti in famiglia. Per qualche motivo la detenzione in carcere è stata preferita a quella alternativa, come avrebbe potuto essere quella domiciliare, e si è generata l’aberrazione. Sì, perché se il carcere, tra i suoi principi, ha anche quello di una funzione rieducativa e di recupero, resta un mistero come un soggetto che non è in grado di intendere e di volere possa essere recuperato o rieducato. Soprattutto se ha 85 anni.
Certo, sulla carta le cose dovrebbero essere diverse. Risale allo scorso aprile la decisione della Consulta che, di fatto, ha escluso la detenzione in cella per gli ultrasettantenni. Tutto ruota attorno all’articolo 27 della Costituzione che sancisce il principio di umanità della pena. Un principio su cui, secondo la Corte Costituzionale, la Sorveglianza dovrà esprimersi valutando caso per caso. Sul piatto della bilancia, tra le altre cose da valutare, c’è l’eventuale pericolosità sociale del soggetto.
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