Giuseppe Cucchi. Generale della riserva dell’Esercito, già direttore del Centro militare di studi strategici.

Mentre Putin annuncia la conquista di Mariupol, gli Stati Uniti hanno deciso di inviare nuovi armamenti “offensivi” all’Ucraina. Come va letta questa decisione?
Anzitutto: la divisione degli armamenti in offensivi e difensivi è qualcosa di molto artificiale. Gli armamenti sono armamenti e basta. Ammazzano e consentono di fare la guerra. Quanto al fatto che gli Stati Uniti abbiano deciso di far crescere il livello degli armamenti che forniscono, beh, questo non fa che accrescere i miei interrogativi. Siamo in guerra o no? Non sono ancora riuscito ancora a capirlo. Da questa parte, la nostra, continuiamo a dire che siamo in pace. Ma è una pace ben strana, perché stiamo mandando armamenti, stiamo inviando, a quel che si legge sui giornali, anche istruttori. La Russia ci accusa di avere inviato istruttori addirittura in Ucraina, e cioè di non addestrare le forze armate ucraine all’uso di nuovi mezzi sul nostro territorio ma di farlo su un territorio che è già coinvolto in un’azione bellica. In più, ci sono quelle misure di embargo.

Cosa non la convince dell’embargo?
Vede, quando si tratta, come in questo caso, di un embargo così forte, che tenta di colpire a morte un’economia, un siffatto embargo è un’arma. Oltretutto, è un’arma che io ho sempre considerato come l’arma più crudele, anche perché l’embargo generalizzato, che distrugge l’economia, non colpisce certamente né gli oligarchi né Putin né le forze armate russe, se non per la difficoltà di avere una disponibilità finanziaria che consente di continuare la produzione di armamenti nel lungo periodo. L’embargo totale colpisce soprattutto la parte della popolazione più povera, come è successo anche con l’Iraq. All’escalation militare si accompagna quella “verbale”. Protagonista assoluto della quale è il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Ora, se la guerra si fa col nemico, qual è il senso di definire il capo del nemico, Putin, un “macellaio” e per giunta genocida? La pace si fa col nemico e in guerra c’è una demonizzazione del nemico. E questa è una parziale risposta alla domanda che io mi pongo, perché siccome il nemico viene demonizzato in continuazione, non è affatto detto, e per quanto mi riguarda non ritengo che le accuse che gli vengono rivolte di crudeltà, di violazione dei diritti umani, di atrocità che vengono compiute, siano false. Probabilmente, anzi quasi sicuramente sono in gran parte vere. Però la demonizzazione del nemico non può certo favorire l’inizio di un vero processo di pace. Perché un vero processo di pace fino ad adesso non c’è. Tutti sperano che la guerra non tracimi. Tutti sperano che rimanga limitata dov’è. Tutti sperano che si concluda in maniera “favorevole”. Cosa voglia dire in maniera “favorevole”, Dio solo lo sa, anche perché, per quello che si è capito, la Russia non è disposta a fermare la guerra se non avrà, da un lato, occupato la parte dell’Ucraina che l’interessa, e dall’altro lato, se non l’avrà fatto in maniera tale da consentire al presidente Putin di vendere la cosa alla popolazione russa come un successo da celebrare. La mia impressione è che Biden ritenga che i tempi per iniziare un discorso di pace, non siano ancora maturi. Che occorra aspettare un poco e vedere, da un lato cosa succederà, e dall’altro continuare a sperare in un indebolimento di Putin all’interno della Russia. È una situazione in cui della pace non solo non se ne parla adesso ma non la si vede neanche a un orizzonte prevedibile.

I tempi, così come gli interessi, degli Stati Uniti non sembrano coincidere con quelli dell’Europa, anzi…
Noi avevamo una economia che era legata più strettamente a quella della Russia e abbiamo ancora delle necessità di sopravvivenza. Noi italiani, ad esempio, stiamo andando in giro per tutto il mondo cercando di risolvere un problema di rifornimento di energia, che se faremo le cose molto bene, se saremo molto fortunati, se riusciremo a reperire tutte queste sorgenti, sarà qualcosa che ci porterà ad averlo risolto di qui a due-tre anni, certamente non nell’immediato. Diciamo, però, che la cosa buona è che gli interessi che coincidono – la difesa dei valori, la difesa del territorio, il mantenimento dell’idea nella comunità internazionale che non si possa impunemente aggredire un paese che non t’ha fatto niente per imporgli la tua volontà – beh, questi interessi sono molto più validi e molto più forti di quelli che divergono. I tempi sembrano divergere. I nostri interessi sarebbero quelli di una pace che si realizzi il più presto possibile. Gli interessi ucraini sono quelli di una pace giusta e accettabile. Quanto agli interessi americani, probabilmente sono quelli di una pace che venga un pochino più in là. Magari c’entrano in qualche modo anche le elezioni di mid term. Se guarda al modo in cui è visto il presidente americano. Il presidente americano è Mr. President, normalmente. Ma quando c’è una guerra in corso o qualche rischio alla sicurezza, diventa il Commander in chief. L’atteggiamento degli americani nei riguardi di Mr.President è molto diverso dall’atteggiamento che loro hanno nei riguardi del Commander in chief. Come è dimostrato dal fatto che anche presidenti che hanno condotto azioni militari sbagliate, e che avevano perso completamente la popolarità, mentre c’era l’azione militare in corso, acquisivano immediatamente una popolarità del tutto differente, come è successo a George W.Bush, che è stato quello che ha costellato di azioni militari sbagliate, per non dire sciagurate. il suo mandato. Esiste la possibilità che ci sia un calcolo politico di Biden non dico di portare la guerra fino alle elezioni di mid term, ma se dovesse durare fino a novembre prossimo, la cosa non gli dispiacerebbe per i vantaggi che questo potrebbe portare a lui.

Il presidente dell’Ucraina, Zelensky, si è detto fortemente deluso e amareggiato per l’atteggiamento assunto dalla Germania e, in particolare, dal cancelliere Scholz. Lei come la vede?
Scholz sta facendo l’interesse tedesco. Lo sta facendo in maniera dura, decisa. La Germania dipende per la sua sopravvivenza economica dalla continuazione delle forniture di gas russo. In più, la Germania ha anche dato una risposta, importante, sugli armamenti. Ha detto che non ha più armamenti che possano andare. Attenzione che questo è un punto estremamente delicato. Perché noi continuiamo a inviare armamenti all’Ucraina ma li mandiamo da paesi che non hanno più delle grandi riserve di armamenti. E soprattutto non hanno più grandi riserve di munizionamento. Quando c’è stata l’azione contro la Libia, che alla fine è stata un’azione Nato almeno come etichetta, gli aerei francesi e inglesi dopo cinque-sei giorni avevano finito le bombe intelligenti. Non ce n’erano più nelle riserve. Sono mezzi che costano enormemente, per cui tenerli in riserva diventano obsoleti progressivamente, perché la tecnologia fa balzi in avanti incredibili. Ce n’è sempre una quantità limitata, da poter fronteggiare le prime necessità. Da un certo momento in poi, i casi diventano due: o noi forniamo all’Ucraina soltanto dei vecchi rottami, che possono anche andar bene contro i vecchi carri armati russi, o se continuiamo a fornirgli armi sofisticate, tra un po’ saremo chiamati a fare i conti col fatto che i nostri arsenali s’impoveriranno oltre il livello di sicurezza. Il cancelliere tedesco ha ammesso questa verità. Mi lasci aggiungere che non si può trattare un paese come la Germania, il più forte dell’Europa, nel modo in cui l’ha trattato Zelensky e pretendere poi che non ci sia una reazione.

Generale Cucchi: se lei dovesse dare un consiglio al presidente del Consiglio, Mario Draghi…
Fare tutto il possibile perché ci siano due canali: aiutare l’Ucraina a resistere, in tutte le forme possibili e con tutti i mezzi possibili, ma al contempo, insistere perché si apra immediatamente un canale di trattativa e che quel canale rimanga sempre aperto. Il fatto di avere dei canali di trattativa che rimangono sempre aperti, finisce col portare considerevoli vantaggi ad entrambe le parti e, per quel che è possibile, rendere la guerra più umana: scambi di prigionieri, passaggi protetti per mettere in salvo i civili…Come si possono ottenere queste cose se non c’è un dialogo continuo? Ci deve essere sempre un tavolo aperto, con gente seduta. L’unico consiglio che mi sentirei di dare al presidente Draghi, di cui ho grande stima, apprezzandone enormemente il comportamento tenuto in questa crisi, è insistere, insistere, insistere e non arrendersi mai per mantenere aperto un tavolo di trattative e un canale di pace. In questo sforzo meritorio può contare su un più che valido alleato di oltre Tevere: Papa Francesco.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.